Foto © M. Bartolini
Se Asmara è il volto “italiano” degli altipiani, roccaforte di un’anima tigrina, e Massawa il gioiello ottomano, di antiche discendenze arabo-islamiche arrivate sulla costa con le rotte marittime secolari, il cuore palpitante dell’Eritrea più profonda, spaccato dell’entroterra rurale, è la città di Keren e i suoi variopinti mercati, nella regione Tigré.
Adagiata su un bassopiano centro-settentrionale, Keren rappresenta uno degli affreschi etnografici più suggestivi dell’Eritrea pastorale, dove si incontrano genti nomadi o semi-nomadi e agricoltori stanziali: Afar, Tigrini, Bilen e Tigrè, i “padroni di casa”. Un campionario vivace, che si riscontra anche in un variegato miscuglio di edifici architettonici, tra moschee, chiese, costruzioni coloniali e villaggi tradizionali di tukul,a preludio di questa cittadina che appare tra una vegetazione tipicamente “sudanese”, puntellata di baobab e acacie.
Un andirivieni di mandrie, mercanzie di ogni genere, bellissime donne Bilen riccamente adornate di gioielli e anelli nasali, stoffe colorate e tinture di henné sulla pelle ambrata, piccoli assembramenti di uomini Tigrè e Afar che gustano il tè (shai) in schiumosi bicchierini di vetro, eleganti ragazze Tigrine con le loro raffinate acconciature di trecce, tripudi di frutta e verdura, cereali e spezie, tessuti e utensili.
I prodotti della terra degli agricoltori stanziali Bilen e dei popoli seminomadi Tigrè, incontrano i cammelli e le barre di sale dancalo dei nomadi musulmani Afar o del loro pescato, proveniente dal Mar Rosso, le culture coraniche incontrano l’ortodossia tigrina. Un mélange di volti, acconciature, abiti tradizionali, culture e religioni. Il mercato dei cereali che fa da sfondo al cimitero italiano, i banchi degli argentieri, di cui le maestranze di Keren sono le più abili, il suggestivo mercato dei cammelli alle porte della città e il cimitero di guerra britannico, eretto a seguito delle numerose battaglie che vennero combattute tra gli italiani e gli inglesi. Un pot-pourri, a cui si aggiunge il santuario di St. Maryam Dearit, mistico luogo di pellegrinaggio cristiano nei pressi di un baobab spettacolare, venerato in quanto portatore di fertilità, secondo un sentimento animista ancestrale, che ancora oggi sopravvive in sincretismo alla religione monoteista. E’ qui usanza che le donne in cerca di matrimonio, vengano all’ombra del monumentale albero a preparare il caffè (bunna), secondo l’antica cerimonia locale, e offrirlo ai passanti nella speranza che il loro desiderio si avveri. Ad accompagnare le atmosfere movimentate del variopinto mercato, gli echi lontani di antiche leggende orali del popolo Tigrè, dei loro tamburi e delle corde pizzicate del mesenko, che risuonano tra gli accampamenti di abitazioni tradizionali meadeni e agnet.