Foto © L.F. Paoluzzi
Città leggendaria, il mito di Timbuktu risuona in ogni dove. Porta del deserto, dove soggiornarono 333 Santi, venne fondata secondo la tradizione da una misteriosa donna tuareg in cerca di acqua per i suoi dromedari, che fece fortuna intorno al pozzo custodito oggi all’interno del museo cittadino, nel cuore dei quartieri storici.
Da allora il pozzo divenne meta obbligata delle carovane del deserto che scambiavano oro e schiavi in cambio di acqua. Nel 1275 venne annessa all’Impero del Mali e all’inizio del XIV secolo Kankan Mansa Moussa (universalmente riconosciuto come l’uomo più ricco di tutti i tempi), di ritorno da un pellegrinaggio alla Mecca, vi fece costruire, a suon di lingotti d’oro, la Moschea di Djingareiber, tra le più antiche e celebri dell’Africa Occidentale. Durante la dinastia di Sonni Ali Ber e dell’Impero Songhay, nel XV secolo, oltre ad essere un ricco centro di scambi commerciali transahariani di oro, schiavi e sale, fu anche importante centro per la cultura islamica e la moschea di Sankoré nel XVI secolo divenne sede della più importante e rinomata università coranica.
Quando i primi esploratori europei cominciarono ad arrivare nel XIX secolo, l’antico splendore era ormai un lontano ricordo, ma la sua fama era ancora intatta. Il primo esploratore ad arrivare a Timbuktu, e a sopravvivere per poterlo raccontare, fu René Caillé nel 1828, prima di allora a Mungo Park non fu concesso di risalire il canale che da Korioume portava a Timbuktu, mentre Gordon Laing, arrivato nel 1826, venne massacrato dai Tuareg prima di poter ripartire. Le case dove soggiornarono gli esploratori sono tutt’oggi aperte al pubblico e visitabili nel centro della città.
A testimonianza dell’antico splendore di Timbuktu, oggi patrimonio Unesco, restano le tre emblematiche moschee storiche, Djingareiber, Sidi Yahiya, Sankoré, e i mausolei dei santi, veri e propri gioielli architettonici di argilla in stile sudanese, oltre alle svariate biblioteche di antichi manoscritti, di inestimabile valore e interesse storico. Ma l’atmosfera di città mitica e misteriosa, inaccessibile, ostile ed attraente allo stesso tempo, è rimasta invariata nei secoli, tra i bellissimi portali intarsiati e borchiati, le finestre tradizionali, simili alle mashrabiyya o gelosia, per le quali ci si sente perennemente osservati, ma impossibilitati a sapere da chi, tra i continui richiami cantilenati alla preghiera che spezzano di tanto in tanto il silenzio ovattato di sabbia, che tutto ricopre e avvolge, in una continua battaglia contro l’avanzamento del deserto.
I suoi abitanti, i Tuareg, il popolo guerriero del deserto, leggendari “uomini blu” il cui faro è la stella polare, che contribuiscono alla fama della città con il loro fascino misterioso, fatto di bei turbanti blu indaco, di ribellione e libertà: “il deserto è vasto come il cielo, se vuoi essere libero come un uccello, allora vivi nel deserto, dove non ci sono frontiere e non c’è controllo”.
Una cornice unica si apre a perdita d’occhio, le dune del Sahara, che fino al 2012 hanno ospitato uno degli eventi musicali e culturali più significativi del Mali, il Festival Internazionale di Timbuktu (Essakane). Un oceano di sabbia, puntellato di tende tuareg che profumano di incenso e tè alla menta, di carovane di dromedari in cerca delle preziose barre di sale, alla volta della sperduta cava di Taoudenni, in uno dei posti più remoti e misteriosi della terra, alle porte del Sahara. Se oggi esiste un aeroporto a Timbuktu, un’esperienza unica è quella di percorrere l’avventurosa “Route de l’Espoire”, un’interminabile pista, inesorabilmente dritta e desolata, in mezzo a un “nulla” dall’incredibile fascino. O risalire con una piroga tradizionale l’antica via fluviale del Niger, sulle tracce degli intrepidi esploratori europei.