Era il 1994 quando in Ruanda si compì uno dei più sanguinari genocidi della storia africana. Il paese da allora è molto cambiato, diventando simbolo di rinascita, riconciliazione e sviluppo economico. Kigali è oggi considerata la capitale dell’ecologia africana, paladina di un progresso in cui le politiche ambientali e le energie rinnovabili, con la pulizia e la cura delle aree verdi pubbliche, ne sono il cavallo di battaglia. Ma Kigali, pur avendo voltato drasticamente pagina, è anche la città della memoria, in monito alle nuove generazioni, sugli spaventosi errori del passato.
Una parola ricorre costantemente tra le comunità ruandesi, amahoro, che significa letteralmente “pace”, utilizzata per salutare amici e conoscenti, o chiunque si incontri quotidianamente sul proprio cammino. E’ proprio la pace e la stabilità, oggi, a motivare il popolo ruandese e a condizionarne lo stile di vita. Difficile pensare che una città evoluta, pulita e funzionale come Kigali, con il suo popolo quieto, accogliente e discreto, i suoi colorati mercati, le piste ciclabili e le sue verdi aiuole, sia stata il teatro e l’epicentro del terribile genocidio che portò, solo qualche decennio fa, allo sterminio in pochi giorni di circa 1 milione di Tutsi.
Oggi a memoria di questo triste capitolo storico, sono aperti al pubblico alcuni memoriali/musei che ripercorrono, attraverso la visita dei luoghi simbolici, di ossari, di esposizioni di oggetti ed immagini, le tappe di quello che avvenne nella primavera del 1994.
Il Kigali Genocide Memorial di Gisozi (vero e proprio luogo della memoria per migliaia di vittime), il Camp Kigali Memorial (dove venne trucidato un commando di parà belgi) e il Musée de la Campagne contre le Genocide (che celebra il ruolo di liberazione armata che ebbe il partito politico dell’attuale presidente Paul Kagame), sono delle visite doverose e immancabili nella capitale, indispensabili ad entrare in religioso silenzio e rispetto, nella triste storia contemporanea di questa nazione, prima di poterne assaporare, e ancor più apprezzare, l’attuale atmosfera festosa e colorata, di rinascita e riconciliazione, per poter godere appieno della sua quiete ordinata e pulita, e calarsi nella quotidianità di una città “verde” in tutti i sensi, a misura d’uomo, in cui la fratellanza e il progresso sono diventati sinonimo di pace e salvaguardia dell’ambiente, come bene comune.
Ed eccoci quindi davanti ai reliquiari di migliaia di Tutsi, adulti, anziani, donne e bambini, massacrati e sterminati con la complicità dell’allora forza governativa, con la tacita complicità anche delle missioni internazionali che preferirono abbandonare il paese al suo tragico destino.
Abiti e scampoli di tessuto, oggetti e fotografie di persone che conducevano una vita normale, di bambini che andavano a scuola o giocavano a pallone, sterminati improvvisamente dai mitra o a colpi di machete, perché diventati nemici loro malgrado, per una semplice questione di appartenenza etnica.
Momenti forti, di riflessione e commozione, ma anche di rabbia, davanti ai ritratti fotografici affissi alle pareti del Memoriale di Gisozi, fisionomie di esseri umani di cui non rimane che qualche parte di scheletro e qualche indumento, anch’essi esposti, per non dimenticare.
Ma oggi Kigali è la città della rinascita e del riscatto, del dinamismo economico e delle energie rinnovabili, dei quartieri sostenibili e delle utopie urbanistiche, dove poter passeggiare in tutta sicurezza tra i viali ben curati e puliti, fino al colorato e ordinato Mercato di Kimironko, tra stoffe variopinte, prodotti biologici e artigianato locale. La città dove sono proibiti i sacchetti di plastica e si incentiva l’utilizzo della biciletta come mezzo di trasporto sostenibile. La capitale del futuro africano, che tenta di valorizzare la propria arte e cultura tradizionale, la propria storia ed origini, senza dimenticarne il capitolo più buio, celebrato attraverso la memoria nei luoghi/simbolo, ma dove oggi di “feroce”, rimangono solo le movenze guerriere e virili della danza nazionale Intore, inscenata da gruppi di ballerini professionisti ad ogni cerimonia ufficiale, vestiti di stoffe tradizionali, parure di cuoio e crine felino.