Al confine nord-occidentale con l’Uganda e la Repubblica Democratica del Congo, si estende una vasta area montagnosa, formata da antichi rilievi vulcanici ricoperti da una fitta vegetazione di foresta pluviale. Siamo tra i Monti Virunga, un straordinario triangolo naturalistico di rilevanza scientifica mondiale, costituito dal Parco Nazionale omonimo sul suolo congolese, dal Parco di Mgahinga in Uganda e dal Parco Nazionale dei Vulcani in territorio ruandese, così chiamato per la presenza di cinque degli otto vulcani che svettano nella regione.
E’ in quest’area, avvolta di nebbia umida, che si concentrarono gran parte delle ricerche zoologiche di Dian Fossey, che dedicò la sua intera esistenza allo studio e alla protezione di una delle più importanti comunità di gorilla di montagna (beringei beringei) esistenti al mondo, installando il proprio quartier generale nel Parco Nazionale dei Vulcani, dove perse la vita in un agguato di bracconieri.
Resa celebre dal libro biografico e dalla pellicola hollywoodiana “Gorilla nella nebbia”, l’impresa della Fossey portò alla ribalta questa riserva ambientale, caratterizzata da una morfologia montagnosa ricoperta di foresta umida e boschi di bambù, uno degli ultimi avamposti in Africa nel suo genere, che accoglie una biodiversità estremamente ricca in flora e fauna, e di cui i gorilla “silverback” ne sono diventati l’emblema, nonché attrazione principale e fulcro nella salvaguardia di un territorio unico al mondo.
Dalle dimensioni impressionanti e il pelo grigio sulla schiena nei maschi dominanti, chiamati per questo motivo “silverback”, questi meravigliosi e quieti primati, vivono all’interno del parco in circa una ventina di famiglie, formate da una decina di componenti ciascuna, alcune delle quali sono state abituate alla presenza umana, dapprima dal costante impegno della ricercatrice e successivamente da una squadra di ranger ed esperti zoologi. Esemplari abitudinari, si spostano continuamente nel raggio di pochi chilometri, alla ricerca di foglie, bacche e cortecce, integrati nella loro dieta solo da qualche insetto. I ranger ne seguono costantemente le tracce durante la notte, in modo da poter prevedere dove si troveranno la mattina seguente e condurvi i visitatori nel più breve tragitto possibile.
Inutile negare che sono loro i veri protagonisti e l’attrazione principale per migliaia di turisti che ogni anno arrivano in Ruanda, per seguirne le tracce (tracking), in una destinazione comunque ancora lontana dal turismo di massa, anche perché delle strette regole hanno dovuto imporsi a regolamentarne l’afflusso al parco, con costi esorbitanti di diritti di entrata a numero chiuso, indispensabili per la gestione e la salvaguardia di un ambiente tanto ricco, quanto fragile.
I trekking, o meglio i tracking, prendono avvio al limitare dell’intricata vegetazione, lasciandosi alle spalle il piccolo villaggio di montagna di Kinigi e i campi coltivati, inoltrandosi tra i labirinti verdi che letteralmente fagocitano gli escursionisti. I percorsi di qualche ora sono mediamente impegnativi e salgono di quota fino ai 3.000 metri, ma supervisionati dalle guide esperte che non lesineranno il proprio aiuto ai partecipanti, pur impartendo loro indicazioni e regole ferree da rispettare, per evitare di danneggiare gli equilibri dei gorilla e del loro habitat, oltre a proteggerli così anche da eventuali malattie trasmissibili dall’uomo, avendo essi un DNA quasi interamente simile al nostro.
Lo sforzo e l’elevato costo delle spedizioni a numero chiuso, verranno ampiamente ripagati dall’emozione del ritrovarsi immersi nella natura più primordiale, selvaggia ed impenetrabile, a pochi metri dagli sguardi mansueti e docili di questi incredibili animali, dal volto e dalle espressioni quasi umane.
Un’esperienza unica, che porta all’incontro delle ultime famiglie di gorilla di montagna allo stato selvatico, ma anche delle endemiche “scimmie dorate”, in un santuario naturalistico che ha elevato il Ruanda ad essere una delle mete più ambite, seppur ancora di nicchia e per pochi privilegiati, nel panorama dell’ecoturismo internazionale, e questo ne giustifica senza dubbio l’elevato costo.