Il Sud Sudan è uno stato giovane, nato solo nel 2011, di cui il principale gruppo etnico dei Dinka ne ha deciso fino ad oggi le sorti politiche contemporanee, ma è anche una terra ancestrale antichissima, bagnata dalle acque del Nilo Bianco, culla di un variopinto mosaico di popoli profondamente identitari e le cui ricche tradizioni sono oggi più vive che mai.
Circa una sessantina di gruppi compongono il complesso tessuto etnico sud-sudanese, in prevalenza di origine nilotica ed appartenenti a società agro-pastorali, in un mix di culture nomadi e semi-nomadi, ma anche stanziali. Se alcuni popoli presentano numerose matrici antropologiche comuni, altri si differenziano per caratteristiche identitarie ben marcate e singolari.
I Dinka, i Nuer e gli Shillok sono numericamente i popoli predominanti del Sudan del Sud, ma nelle sole regioni dell’Equatoria Centrale ed Orientale, si contano altre decine di gruppi e sotto-gruppi, considerati forse tra i più isolati e poveri al mondo, per via della paralisi in cui il paese versa da decenni, ma ricchissimi in tradizioni e scevri dall’appiattimento dei tempi moderni, che spesso è nemico delle culture identitarie dei popoli.
A est di Juba si estendono le fertili piane rurali in prossimità delle cittadine di Torit e Kapoeta, movimentate sporadicamente da qualche altura rocciosa, dove un piccolo universo di popoli, conserva intatti i propri usi e costumi, le proprie religioni e riti ancestrali, le proprie economie di sussistenza, che si tramandano di generazione in generazione dalla notte dei tempi. Qui una moltitudine di sperduti villaggi di fango, rami e paglia, accolgono società arcaiche, in prevalenza di allevatori e agricoltori, ma anche, all’occorrenza, di abili cacciatori e pescatori.
I pastori Jye, appartenenti al grande gruppo delle popolazioni Karamojong e Turkana, dalle caratteristiche danze e cerimonie tribali, abitano le terre nei dintorni di Kapoeta, assieme ai Toposa, allevatori anch’essi che condividono le stesse origini nilotiche, costituendone il clan principale. Famosi per i loro villaggi recintati, chiamati boma, le cui abitazioni sono decorate di teschi animali, i Toposa sono organizzati in società fortemente gerarchiche, in cui il culto estetico del corpo ne è parte preponderante, secondo una complessa simbologia, espressa in elaborati addobbi e vistose scarificazioni sul viso e sul corpo, indicativi dello status e del ruolo che ciascun individuo occupa nella società toposa.
Altrettanto caratteristici e significativi sono gli ornamenti di perline e le scarificazioni identitarie degli allevatori Larim, una tribù che si arroccò tempo addietro tra le colline di Boya per sfuggire alle guerre e al furto di bestiame, costruendo case di argilla e paglia, riccamente decorate di altrettanti motivi simbolici. La loro economia e vita sociale ruota attorno al mercato rurale chiamato Camp 15, dove passano le giornate a fumare il tabacco nelle pipe artigianali, scambiando merci e bestiame, soprattutto con i vicini clan dei Didinga.
Nei dintorni della cittadina di Torit, un paesaggio montuoso e roccioso ha offerto invece riparo all’antico Regno dei Lotuko, popolo che si stabilì nella zona nel XV secolo, divenendo sedentari e vivendo di agricoltura, allevamento e pesca. La loro economia e spiritualità ruota attorno alla ciclicità delle stagioni, in cui particolare importanza riveste la figura del capo-stregone, addetto ad officiare i riti propiziatori per l’abbondanza delle piogge e dei raccolti.
Caratteristica comune a questi popoli fortemente identitari, e a tante altre tribù che abitano le terre sud-sudanesi, è senza dubbio il profondo attaccamento alle proprie tradizioni ancestrali che si perpetuano intatte da secoli, motivate da credenze animiste e culti antichissimi, nonostante la diffusione in Sud Sudan della religione cristiana. Incentrati su cerimonie sacrificali propiziatorie, iniziazioni e riti di passaggio all’età adulta, e dal culto degli antenati, i loro riti sono prevalentemente regolati dalla ciclicità delle piogge e dagli eventi naturali, officiati da un capo spirituale. Visitare i villaggi e le comunità rurali di quella che venne chiamata Equatoria dai primi coloni, significa fare un tuffo in una dimensione autentica che va ben oltre la storia, in una sfera temporale che appartiene ancora al mito e alla natura. Complice l’isolamento forzato, ma anche in parte voluto, di queste popolazioni, in un paese che ha sofferto particolarmente di contrasti internazionali ed interni, ma che oggi è sempre più orientato verso l’agognata stabilità.