Isola mitica, ricca di storia e tradizioni, crocevia secolare di mercanzie e culture lontane, punto di incontro tra le Indie, la Penisola Arabica, l’Africa e l’Europa, culla dell’identità swahili, nonché paradiso terrestre e marino, adagiato tra le trasparenze idilliache dell’Oceano Indiano. Zanzibar, o meglio l’Arcipelago di Zanzibar, con la sua isola principale di Unguja e la capitale Stone Town, è oggi una delle destinazioni più ambite dal turismo balneare internazionale, pur continuando a mantenere un proprio carattere, discreto e tradizionalista.
Isola che odora di zenzero, vaniglia e chiodi di garofano, terra inondata di luce, di riflessi e di colori, dal turchese smeraldino del mare al bianco accecante della sabbia fine, dal verde delle palme da cocco e delle risaie al bordeaux della terra, fino a tutta la gradazione iridescente della vita sottomarina e della barriera corallina. Isola di spiagge selvagge e antiche case di pietra corallina, di portali intarsiati come fossero sculture e di capanne di terra e paglia, di pescatori che salpano sui dhow, boutre o jahazi, che dir si vogliano le imbarcazioni tradizionali in legno, e di donne che coltivano spugne e alghe al flusso costante delle maree. Isola di tradizioni e di musica Taarab, perfetta sintesi culturale di mondi lontani che si sono incontrati a Zanzibar nel corso dei secoli, ma anche eldorado di investimenti internazionali, che hanno saputo in gran parte rispettarne il volto e l’identità, costruendo tra i più qualitativi resort e hotel del continente africano, in uno stile tradizionale rivisitato e perfettamente integrato con l’ambiente circostante, appena percepibili tra la vegetazione dei giardini e delle palme, con i loro monumentali tetti di legno e paglia, gli ombrelloni di frasche e i lettini di corda sulla spiaggia.
Se i variopinti fondali e le meravigliose spiagge incontaminate che risplendono di luce e di maree, sono il volto incantevole di Zanzibar, Stone Town (Patrimonio UNESCO) con le sue abitazioni di pietra corallina e legno intarsiato, ne è l’anima più profonda, e i piccoli villaggi rurali con i loro abitanti cordiali, il carattere distintivo.
Unguja (chiamata impropriamente Zanzibar, in quanto isola principale dell’arcipelago omonimo) ha tutti gli ingredienti per incantare e ammaliare, per meritare l’alone mitico di destinazione immancabile per gli amanti di mete esotiche, tra uno degli ultimi paradisi terrestri, ma anche avidi di storia, tradizioni, cultura e atmosfere uniche. Le atmosfere di un’isola che ha vissuto il susseguirsi di dominazioni, controlli strategici e commerciali, un periplo millenario di mercanti indiani e arabi, navigatori portoghesi e sultanati omaniti, assorbendo il meglio di ognuno e respingendone il peggio, plasmando sé stessa, la propria africanità e la propria identità swahili.
Tra le strette vie di Stone Town e i suoi palazzi di pietra corallina, si respira immediatamente la storia complessa dell’isola, che riporta a terre lontane. Le abitazioni, dai bellissimi portali intarsiati, i ballatoi in legno e le mashrabiyya, rimandano a influssi indiani, persiani, arabi, moreschi ed europei, così come l’antico forte in pietra, di chiara influenza architettonica portoghese, ma che in realtà venne costruito nel XVIII secolo dagli Omaniti. Stone Town è tutta da scoprire, perdendosi tra i vicoli del centro, ammirando le bellissime facciate dei palazzi, dimenticandosi del tempo che passa mentre si osservano i minuziosi intarsi delle porte e delle finestre, vere e proprie sculture lignee, o visitando i monumenti storici, dal Beit El-Ajaib, antica residenza del XIX secolo del sultano Barghash, a quella del sultano Said, Beit El-Sahel, dagli Hamamni Persian Baths, i bagni pubblici del 1871, alle rovine del Palazzo di Mahurubi e di Dunga, senza dimenticare uno dei luoghi-simbolo della memoria, l’antico Mercato degli Schiavi, utilizzato fino all’abolizione della schiavitù nel 1873, che serviva allo stoccaggio di decine e decine di schiavi in celle buie di pochi metri quadrati e senza prese d’aria, che solo la risalita della marea ripuliva dagli escrementi; luoghi dell’orrore dove persero la vita migliaia di persone. Subito dopo l’abolizione di questo triste commercio, venne edificata la chiesa neo-gotica anglicana, inaugurata nel 1877.
Se la costa orientale di Unguja, da nord a sud, offre solo l’imbarazzo della scelta in quanto a spiagge incantevoli e strutture ricettive, un luogo in particolare è diventato ormai il simbolo di Zanzibar, l’immancabile Rock Restaurant, un ristorante unico nel suo genere, “aggrappato” su uno scoglio in mezzo al mare a sud-est dell’isola, raggiungibile a piedi con la bassa marea, un vero e proprio angolo di paradiso famoso in tutto il mondo. Da non perdere, tra un tuffo e l’altro, un’escursione alla Jozani Forest, tra le scimmie colobo rosse, antilopi e farfalle, l’ultima area verde rimasta interamente vergine a Unguja.