In Uganda, un universo parallelo alle foreste pluviali e alle umide alture montagnose, si apre nel nord-est del paese. Una regione di altipiani e savane brulle, dove l’acqua scarseggia e la popolazione locale dedita alla pastorizia e alla transumanza, si è sempre dovuta battere per l’approvvigionamento delle ingenerose risorse e per il mantenimento delle proprie mandrie, unica fonte di sussistenza. E’ la sconfinata e desolata terra della Karamoja, abitata dalle popolazioni di origine nilo-sahariana dei Karamojong.
Tanto poveri di risorse, quanto ricchi di tradizioni e storia, sono popoli che migrarono centinaia di anni fa dalla Valle del Nilo, per sfuggire a guerre e carestie, insediandosi sugli altipiani e le savane settentrionali dell’Uganda, contendendosi un vasto ma arido territorio con i vicini popoli dei Pokot e delle tribù del Turkana, al confine con l’attuale Kenya, con i quali pertanto presentano alcune affinità culturali.
Un volto differente dell’Uganda, ma altrettanto affascinante nella sua asperità.
Interamente legata ai culti ancestrali, quali i riti di iniziazione, la tradizionale e complessa etno-sociologia del popolo Karamojong, venne studiata da un padre comboniano italiano, Bruno Novelli, che ha dedicato tutta la sua vita a raccogliere materiale sulla loro lingua e cultura, vivendo a lungo tra loro.
Se gli accampamenti principali dei clan sono fissi (manyatta), i giovani uomini con le mandrie di zebù e capre, continuano a spostarsi incessantemente alla ricerca stagionale di pascoli nelle zone limitrofe, costruendo accampamenti nomadi di volta in volta, circondati da recinti di rovi a protezione del bestiame (kraal). Questo ha causato sovente scontri inter-etnici per la supremazia sui pascoli e sull’approvvigionamento delle risorse territoriali, facendo riapparire, soprattutto nei momenti di carestia dei decenni passati, la tradizionale attitudine guerriera dei Karamojong, altresì pacifici ed ospitali.
Popolo rimasto in gran parte isolato e scevro dagli influssi coloniali, fu solo in epoca recente che un emendamento del dittatore Amin Dada li obbligò a vestirsi, tanto che ancora negli anni ’70, il famoso giornalista polacco Kapuscinski, ricorda che in quel periodo molti dei Karamojong usavano portarsi appresso nelle bisacce dei tessuti, per coprirsi in caso di controllo da parte dell’esercito.
Particolari sono i copricapi di piume di struzzo e le pelli di leopardo da portare sulle spalle degli uomini-guerrieri, mentre le donne sfoggiano delle coloratissime parure di perline, cuoio o caucciù.
Un tuffo nella quotidianità, ma anche nelle tradizioni delle popolazioni della Karamoja, è offerto dalla visita a uno dei colorati mercati della regione, tra cui quello principale si svolge a Moroto. Un tripudio di piume di struzzo, tabacco grezzo, collane e bracciali, e i bellissimi tessuti tradizionali chiamati nakatukok. Ma anche un crocevia di donne Pokot con le loro bellissime collane a disco e i grandi orecchini, di genti Tepeth, Jie, Dodoth e i loro armenti, tutti sottogruppi della grande famiglia Karamojong, e di Ik, un piccolo popolo ancora poco conosciuto che vive in piccoli villaggi recintati e dotati di granai. Cacciatori di origine, dovettero abbandonare le proprie terre con la creazione del Parco Nazionale di Kidepo, insediandosi nei dintorni del Monte Morungole, dove si dedicano all’allevamento.