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Il Ghana conta due voci inserite tra la lista del Patrimonio UNESCO, entrambe per il loro valore storico-architettonico, comprendenti ciascuna un campionario di edifici significativi per la storia europea legata alla tratta negriera, commerciale e coloniale nella Gold Coast, e per la storia del popolo autoctono più rappresentativo, gli Ashanti:
Forti e Castelli del Volta, Greater Accra, Central e Western Regions (1979)
Edificati tra il 1482 e 1786, sui promontori della costa ghanese compresa tra Keta e Beyn, al di là del loro valore architettonico di ingegneria militare europea, risalente a svariate epoche e nazioni, rappresentano la testimonianza storica di tre secoli di rivalità europee in terra d’Africa, per il monopolio dei commerci e lo sfruttamento delle materie prime, il simbolo di guerre e di equilibri inter-europei e di partenariati con i regni locali per il controllo della tratta negriera. I continui passaggi di proprietà di 3 castelli (St. George’s di Elmina, Cape Coast e Christiansborg-Osu di Accra) e 15 forti militari, secondo gli equilibri stabiliti da vittorie o sconfitte degli uni o degli altri, sono ben visibili nelle stratificazioni stilistiche e nei rimaneggiamenti o ampliazioni di ciascuna architettura.
Architetture tradizionali Ashanti (1980)
Si tratta di una serie di edifici tradizionali edificati durante il Regno Ashanti, che raggiunse l’apice nel XVIII secolo, grazie al monopolio del commercio dell’oro e di schiavi, che venivano venduti ai mercanti europei. Tra questi sono inclusi i templi e santuari vudù delle famiglie reali, tra cui quello di Besease, caro alla resistenza Ashanti contro gli inglesi. E’ qui che venne organizzata e diretta la resistenza anche da un punto di vista spirituale, con sacrifici e preghiere propiziatori. Gli edifici sono tutti costruiti secondo lo stile architettonico akan. In argilla, bamboo e legno, comprendono una parte coperta con tetto molto spiovente di paglia, aperta su un cortile interno. I muri sono decorati da nicchie e formelle con simboli e animali totem delle dinastie, gli stessi che si ritrovano sui tessuti reali adinkra.
Architettura
Quando si parla di architettura ghanese, si parla sostanzialmente di tre tipologie principali ben distinte, che riflettono altrettante realtà storiche e culturali del paese: quella tradizionale, caleidoscopica quanto la moltitudine di popoli autoctoni, quella coloniale che abbraccia 3 secoli e che pur essendo di matrice europea è strettamente legata alla storia del paese, infine quella contemporanea urbana.
Tra gli esempi di architettura tradizionale sicuramente il più rappresentativo è dato dagli edifici tradizionali Ashanti, alcuni risalenti al XVII e al XVIII secolo. Non a caso inseriti nella lista del Patrimonio UNESCO, sono la testimonianza architettonica delle tradizioni di uno dei più importanti Regni dell’Africa Ovest. Particolarmente interessanti sono i santuari dedicati alla religione vudù, in argilla, bamboo e legno, con dei caratteristici tetti spioventi ricoperti di paglia. Al loro interno i preti/guaritori delle dinastie reali compivano riti e sacrifici propiziatori per le gesta dei propri sovrani.
L’architettura Fante a Elmina, trova la sua più caratteristica espressione nei Posuban, santuari disseminati lungo la via principale che conduceva al porto e al Castello. Qui venivano compiuti riti e sacrifici propiziatori per le gesta belliche dei guerrieri e ancora oggi vengono gestiti da famiglie di capi-clan e utilizzati per riti vudù legati al popolo di pescatori fante. Interamente ristrutturati, in parte con materiali moderni, erano in origine costruiti in argilla e legno. Conservano ancora delle sculture totem in facciata o sui balconi tipici con paratie di stile neo-barocco.
Un esempio per tutti di architettura civile tradizionale sono le abitazioni dei Gurunsi, popolo che abita la regione di Bolgatanga e che li accomuna alla Regione di Tiebelé in Burkina Faso, dalla cui corte reale dipendono. Le case tradizionali mantengono le decorazioni e le forme simboliche tipiche di questo popolo. A forma di “8” la casa femminile principale, a forma rotonda i granai sacri, a forma quadrata quelle per le giovani coppie. Vengono plasmate con l’argilla come una vera e propria scultura e decorate in forme geometriche con pigmenti naturali, come se fossero una terracotta.
Tra l’architettura tradizionale non bisogna dimenticare alcuni esempi di antiche moschee rurali nel nord del paese, in stile sahelo-sudanese. La più antica è quella di Larabanga, risalente al XIII secolo, quando la regione subiva ancora un forte influsso dai traffici carovanieri transahariani. La sua pianta rettangolare con torrioni conici, terrazzata, e minareto principale sul lato corto, è tipica dello stile religioso dei paesi del Sahel. Modellata in argilla, presenta i caratteristici tronchi in legno di palma che fuoriescono dalle facciate, in tutta la loro superficie, e fungono sia da intercapedini interne che da scale per rinnovare l’intonaco prima di ogni stagione delle piogge.
Quando si parla di architettura coloniale, pur essendo pre-coloniale nella stretta accezione politica del termine, non è possibile prescindere dalla testimonianza e dai simboli in terra africana, di quelli che furono quasi 5 secoli di monopolio commerciale europeo, i forti militari e i castelli sui promontori costieri. Edificati nell’arco di tre secoli, stratificati, rimaneggiati o ampliati a seconda del passaggio di proprietà tra portoghesi, danesi, olandesi, spagnoli, svedesi, tedeschi e inglesi, a partire dal 1482 fino al 1786, sono strettamente collegati alla storia e al destino non solo del Ghana, ma di milioni di africani. Alcuni esempi per tutti sono i castelli di Elmina e di Cape Coast, o il forte di Axim.
Il castello/fortezza di St. Georges a Elmina è il più antico edificio europeo costruito in Africa sub-sahariana. Edificato dai portoghesi nel 1482, su di uno strategico promontorio che domina la foce di un fiume, serviva da quartier generale per il controllo dei commerci (oro e avorio inizialmente e successivamente schiavi) in partenariato con i regni locali, difendendo l’accesso da eventuali attacchi e incursioni delle altre potenze europee o da popoli indigeni. A pianta quadrata, circondato da un fossato e quattro torrette di avvistamento con feritoie, venne concepito per essere autosufficiente al suo interno, disponendo di pozzi per l’approvvigionamento idrico, appartamenti per i governatori, celle e prigioni per i nemici e gli schiavi, spazi per l’allenamento dei soldati e perfino chiese, che vennero riconsacrate a seconda della fede religiosa di chi se ne impossessava (cattoliche sotto i portoghesi, protestanti sotto gli olandesi e infine anglicane sotto gli inglesi).
Il Castello di Cape Coast venne concepito in maniera del tutto simile. Inizialmente in legno, venne fondato dagli svedesi nel 1653, rimaneggiato in pietra dai danesi e infine interamente ricostruito e ampliato dagli inglesi nel 1664. All’epoca la materia prima più richiesta erano gli schiavi, per questo a differenza del castello di Elmina, venne concepito con soluzioni funzionali al controllo costante delle celle sotterranee tramite botole e un sistema di tunnel che permetteva l’imbarco degli schiavi incatenati senza che questi vedessero mai il sole del livello superiore, fino alla grande porta sul livello dell’Oceano (Porta del Non Ritorno), dove le piccole imbarcazioni li aspettavano per poi essere portati a largo sulle grandi caravelle alla fonda.
Riguardo all’architettura coloniale propriamente detta del XIX e XX secolo, in tutte le città principali del Ghana sopravvivono interi quartieri di edifici commerciali, amministrativi, religiosi e residenziali, costruiti dalla Corona Britannica per i propri cittadini incaricati di amministrare la Gold Coast. Uno di questi edifici, a Kumasi, venne donato dagli inglesi al Re Ashanti Prempeh I nel 1925, quando gli venne concesso il rientro in patria dal suo esilio alle Sheycelles. Il Manhya Palace, divenuto oggi un museo, ben rappresenta lo stile architettonico coloniale dell’epoca.
Per l’architettura moderna e contemporanea, gli esempi meglio rappresentativi si trovano nella capitale Accra, che ha visto un forte sviluppo edilizio in epoca post-coloniale. Tra questi i numerosi memoriali (Memoriale a Kwame Nkrumah) e monumenti (Monumento dell’Indipendenza o Black Star Square) dedicati alle personalità e alle vicissitudini del Ghana Indipendente. Nella maggior parte dei casi si tratta di architetture che attingono e stilizzano forme prese dalla tradizione locale, come il Palazzo Presidenziale a forma di sgabello Reale. Interessanti esempi di architettura contemporanea e ingegneristica, sono il colossale Teatro Nazionale di Accra,dalla forma simile alla carena di una gigantesca nave, inaugurato dai cinesi nel 1992, e il Ponte Adomi presso la diga di Akosombo, dalle monumentali paratie in metallo a forma di arco, finanziato in parte da fondi nazionali per volontà di Kwame Nkrumah che lo inaugurò nel 1957.
Arte tradizionale
Tra le più ricche dell’Africa dell’Ovest, la produzione artigianale in Ghana è legata alle tradizioni e costumi di ciascun popolo, pertanto estremamente variegata e diversificata a seconda delle regioni e delle materie prime locali utilizzate.
Si possono distinguere due sfere principali di manufatti locali: una prettamente artigianale di oggetti della quotidianità e utilitaristi, l’altra più artistica, legata alla spiritualità e alla forma simbolica dei manufatti. In entrambe i casi i prodotti manifatturieri seguono dei criteri estetici indissolubilmente legati all’identità di ciascun popolo
Sicuramente l’artigianato Ashanti è il più rappresentativo, ma di certo non l’unico.
Fortemente legata alle gerarchie e all’identità del popolo Ashanti è la produzione tessile, che perdura immutata nei suoi colori e motivi decorativi simbolici. Ogni cerimonia e evento tradizionale, ogni status sociale, ha il suo “dress code”. Le storiche fabbriche di tessuti in cotone, nei villaggi intorno a Kumasi, confezionano ancora oggi le splendide stoffe che vestono le famiglie reali.
Adinkra, ricchissimi e coloratissimi tessuti di cotone, prendono il nome dalla teoria di motivi ornamentali tipici delle popolazioni Akan. Si tratta di una vera e propria “forma di scrittura”, stampata sulle stoffe in cotone con la tecnica della serigrafia, utilizzando degli stampi in calebasse, che racconta per aforismi, simboli e colori, la storia, le tradizioni e il potere di questi popoli. Utilizzati per vestire solo i membri appartenenti alla casa reale, si sfoggiano generalmente durante i funerali. Un centinaio di simboli sono inventariati e utilizzati anche per scolpire sculture, creare gioielli a cera persa e plasmare terrecotte e formelle decorative a bassorilievo delle case reali.
Kente, tessuto tradizionale di svariate popolazioni non solo Akan, viene ottenuto da fili di cotone colorati, intrecciati in forme geometriche ai telai tradizionali, impreziositi di fili di seta, infine unite tra loro a formare il tessuto. I colori predominanti sono il giallo, il rosso, l’arancione e il verde, ma le gamme e le combinazioni sono infinite. Durante le cerimonie dell’Akwasidae, più sarà alto lo status del capo-clan, più sarà ricco il suo sfoggio di stoffe kente, mentre ai sudditi è riservata la stoffa meno preziosa del wax, stampata in bianco e blu.
Per quanto riguarda l’artigianato ligneo, la produzione è vastissima. Dall’infinità di maschere a seconda dei popoli e delle cerimonie in cui venivano utilizzate, intarsiate o impreziosite di perline e lamine di metallo, dagli sgabelli reali ashanti (la leggenda vuole che il primo sgabello fosse in oro e scese dal cielo per l’intronizzazione di Osei Tutu I) alle sculture votive, dagli strumenti musicali a percussione, ognuno dei quali destinato a una specifica cerimonia sacra, alle canne reali, l’arte scultorea è veramente variegata e il suo savoir-faire risale alla notte dei tempi. La statuetta simbolo del Ghana è senza dubbio l’Akwaba Ashanti, simbolo di benvenutoe ricercatissima come souvenir, affonda le sue radici nella tradizione spirituale legata a uno dei riti più sentiti dai popoli africani, quello propiziatorio per l’abbondanza, la feritilità e la fecondità. Consiste in una sorta di bambolina di legno simbolica, simile alla universale forma “tanit” (dea-madre), ma sormontata da uno sproporzionato disco piatto con bocca e occhi stilizzati.
L’Arte orafa, occupa un posto fondamentale nelle gerarchie sociali dei popoli Akan. Materia prima legata alla loro stessa identità, in quanto detentori dalla notte dei tempi della sua estrazione e commercio (le miniere di Obuasi sono ancora controllate dalle famiglie reali), utilizza le stesse forme simboliche e metaforiche dei tessuti adinkra. Fin dalle origini veniva fuso e modellato secondo la tecnica della cera persa, a creare ricchissimi e enormi gioielli, (bracciali, anelli, cavigliere, intarsi di sandali) teste di canne reali, corone e perfino sgabelli, che riproducevano simboli e animali totem legati alle famiglie reali. Ancora oggi i capi-clan ne fanno ampio sfoggio durante le cerimonie tradizionali. In origine erano plasmate in oro anche le “unità di misura” e a ciascuna forma era legato un determinato peso specifico e valore, che serviva a quantificare il costo di determinate mercanzie.
Le popolazioni del nord, più legate all’influsso della cultura musulmana sahelo-sahariana, eccellono invece nella lavorazione del cuoio, della rafia e del vasellame in terracotta.
Un particolare artigianato ghanese, unico nel suo genere, si trova presso i Krobo, popolazione originaria della Regione sud-est del paese, nei dintorni del lago Akosombo. L’antichissimo savoir-faire della pasta di vetro, si tramanda presso questo popolo dalla notte dei tempi, probabilmente dapprima che arrivassero i mercanti europei sulle coste ghanesi. Se tale tecnica arrivò a Venezia tramite i commerci con l’Oriente, è probabile che questa arrivò in Ghana attraverso i flussi carovanieri transahariani e successivamente di ritorno tramite gli europei, via mare. Fatto sta che le perline in pasta di vetro (adjagba) occupano un posto fondamentale nella società Krobo. Legate alla bellezza femminile, erano considerate anche una moneta di scambio, o un pegno per la dote. Oggi continuano ad essere utilizzate in molte cerimonie sacre, tra cui i riti di iniziazione femminili, per il passaggio dalla pubertà all’età adulta. Dopo un’attenta formazione e purificazione, le giovani donne potranno finalmente indossare un tripudio di fili di perle colorate di pasta di vetro, che si tramandano in seno alla famiglia di generazione in generazione. Un particolare linguaggio simbolico è affidato ai colori e ai motivi ottenuti dalla fusione del vetro. Se il bianco è generalmente usato per le occasioni di gioia e quello nero per i lutti, una vasta gamma di combinazioni simboleggiano veri e propri aneddoti e aforismi.
Un posto particolare nel panorama dell’arte tradizionale ghanese è occupato dalla fabbricazione lignea delle bare cosiddette “fantasy”, al punto che questo particolare artigianato è stato invitato più volte in esposizioni europee (Biennale di Venezia e Centre Pompidou), quale vera e propria forma d’arte. Tradizione appartenente al popolo Ga che abita le zone costiere nei dintorni di Accra, si perpetua in seno a maestranze famigliari che si tramandano gli atelier di generazione in generazione. Se le cerimonie funebri e la filosofia legata al trapasso, in Ghana hanno un’importanza del tutto particolare, ed esorcizzati da momenti di condivisione festosa, altrettanto si può dire riguardo alla fabbricazione di queste bare “personalizzate”. Estremamente colorate, molto kitsch e celebrative, nelle loro svariate forme aneddotiche e simboliche, di un particolare aspetto della vita del defunto, ma spesso anche sarcastiche verso le eventuali debolezze nella sua vita terrena, servono ad accompagnare “allegramente” nella vita ultraterrena il famigliare e conquistarsi il suo aiuto e protezione dal potente regno dei morti. Se a morire è un capo-clan, probabilmente la bara verrà scolpita con la forma del suo animale-totem. Se a morire è un pilota, la bara sarà a forma di aereo. Se il defunto era alcolizzato o tabagista, probabilmente la bara sarà a forma di bottiglia o di pacchetto di sigarette. Tra gli atelier storici di bare fantasy, sono quello di Kane Kwei e quello di Paa Joe, aperti a vere e proprie visite guidate e stage internazionali.
Cinema
Se il cinema quale intrattenimento, venne introdotto dai coloni inglesi nel 1923, si può cominciare a parlare di una vera e propria industria cinematografica ghanese a partire dagli anni ’60, con la creazione della Ghana Film Industry Corporation, e tutt’oggi una delle più floride del continente, soprattutto per la produzione di video di soap opera televisive, serie noir o fantasy, dagli effetti speciali un po’ naif, tanto da meritarsi il titolo di Gollywood. Per quanto riguarda il cinema d’autore in pellicola, l’età d’oro fu negli anni ’70 e ‘80, con la formazione di registi professionisti e pellicole di livello. King Ampaw, Ato Yarney, Joe Daniels, Kofi Yirenkyi, Kwah Ansah (che vinse il primo premio internazionale al FESPACO di Ouagadougou nel 1989, con la pellicola Heritage Africa risalente al 1979), sono solo alcuni nomi tra la rosa di registi ghanesi.
Letteratura
L’introduzione della scrittura in Ghana risale al XVIII secolo in seno alle Missioni religiose europee. Tuttavia è dopo l’Indipendenza che nasce una vera e propria letteratura nazionale, con le prime opere di poesia, romanzo e teatro di intellettuali ghanesi e la creazione della Pawa House (Associazione degli scrittori panafricani), di cui proprio lo scrittore ghanese Atukwei Okai fu segretario generale. Tra i suoi romanzi di successo sono The Beautiful Ones are not yet born del 1968 e Fragments del 1970, testo critico sul colonialismo.
Nel 1973 viene dato alle stampe Two Thousand Seasons, romanzo storico di Ayi Kwei Armah che ripercorre la violenza di tre secoli di schiavitù con l’esordio della profezia di una sacerdotessa.
Sugli aspetti negativi della colonizzazione si incentrano anche le poesie e i versi incisivi di Kofi Awoonor in West African Verse. Del 1971, è il suo celebre romanzo This Earth, my Brother incentrato sulle difficoltà del mondo africano post-coloniale, stesso argomento trattato in Money Galore (1975) di Amu Djoleto, ma in tono decisamente più sarcastico e autocritico verso il nuovo sistema sociale. Tra gli altri scrittori di successo sono da segnalare, il poeta Kojo Laing, i romanzieri Maya Angeloi, Ama Ata Aidoo e Efua Sutherland. Tra i saggi nel panorama ghanese sono invece da citare, African Traditional Theatre di Kwabena Bame, Sharing the Same Bowl di Claire C. Robertson, studio sociologico sulla condizione della donna nel popolo Ga della città di Accra e l’incidenza sull’economia del suo lavoro informale.
Musica
Quando si parla di cultura, in tutta l’Africa non si può prescindere dalla musica. La musica sotto forma di ritmo ha da sempre accompagnato la quotidianità dei popoli fin dalla notte dei tempi, come forma comunicativa, religiosa e anche ludica. Ogni popolo ha la propria tradizione musicale, i propri ritmi e strumenti, legati a usi, costumi e alla spiritualità. Basti pensare che il ritmo dei tam tam (djembé) era usato fin dall’antichità per comunicare a distanza, come forma di richiamo a raccolta delle comunità, ma anche per segnalare un pericolo, un lutto, e come elemento imprescindibile di qualsiasi forma rituale e di cerimonia sacra.
Se in Ghana ancora oggi persiste il ritmo ancestrale e i relativi strumenti (ad esempio i corni a fiato e i tamburi ashanti), in seno alle cerimonie tradizionali, vi è un altrettanto florido panorama di musica contemporanea e iper-contemporanea che affonda le sue radici nelle sonorità e nelle strumentazioni tribali.
Il genere contemporaneo per eccellenza in Ghana è la highlife, una sorta di mélange di percussioni e melodie. Nato nel lontano 1920, ha spopolato fino agli anni ’70 con la Tempos Band del chitarrista Mensah e con la Kwame Ampadu and The African Brothers ancora oggi i più grandi esponenti. Questo genere di musica deve il suo nome al fatto che veniva suonata nei bar-cabaret più in voga delle città e ascoltata da un pubblico di persone abbienti e ben vestite, soprattutto europei.
Parallelamente era in voga la palm-wine music che veniva al contrario suonata con chitarre nei bar locali che servivano vino di palma e di cui oggi il musicista Daniel Amponsah tenta di preservarne la tradizione.
A partire dagli anni Settanta, con la stagione dei colpi di stato, la highlife emigra in Inghilterra con gli Osibisa, il cui genere african-rock che affonda le radici nella musica tradizionale fanti, conquista la top-ten britannica.
Oggi il Ghana è teatro di una modernizzazione strumentale e una internazionalizzazione di stili, che lo allontana sempre più dai ritmi tradizionali e lo avvicina maggiormente al rap-pop-tecno-r&b, con contaminazioni drums-tribali e reminescenze della highlife, che ne preservano l’ascendenza africana.
Bettina Bonsu, Mr. Drew, Edem, Davido, Migos, sono solo alcuni nomi del prolifico panorama musicale contemporaneo ghanese, formato da una rosa di artisti e cantanti in slang, un inglese inframezzato da termini in lingua twi-akan.