Siti UNESCO
Palazzi Reali di Abomey (1985), valore culturale.
Il complesso si sviluppa su 47 ettari e comprende i resti di quelli che furono i palazzi dei 12 re che si susseguirono sul trono di Abomey dal XVII agli esordi del XX secolo. Ad ogni intronizzazione era usanza che il nuovo regnante avesse il proprio palazzo e non ereditasse quello del suo predecessore. Con la caduta di Behanzin nella battaglia di Abomey del 1892 contro i francesi, il complesso venne dato alle fiamme per evitare che cadesse nelle mani del nemico. Oggi sono fruibili, restaurati e musealizzati i due palazzi principali, nonché sede dei due più importanti sovrani che resero grande il Regno di Dahomey, Ghezo e Glélé. Al loro interno si conservano ancora oggi alcuni paramenti, arredi, oggetti e suppellettili originali. Le architetture sono interamente edificate in mattoni di argilla dalla tipica colorazione rossa della regione, in pianta rettangolare con sale in successione e copertura in paglia e canne, e decorati in facciata da tipiche formelle in terracotta colorata che rappresentano elementi simbolici e animali totem, legati alle origini e alle imprese di ogni Re. I luoghi di culto e i mausolei nei cortili sono invece di forma circolare.
Complesso di W-Arly-Pendjari (1996, 2017), valore ambientale
Il primo ad essere inserito nella lista Unesco fu il Parco transfrontaliero W (Niger-Burkina Faso-Beni) nel 1996, per il suo enorme valore ambientale e il suo intatto eco-sistema, rappresentativo della fascia sudano-saheliana. Nel 2017 vennero aggiunti al Complesso il Parco della Pendjari a nord del Benin e il Parco Arly in Burkina Faso. L’enorme area di 10.000 km² è in parte abitata da popolazioni locali dedite all’agricoltura e alla caccia di sostentamento regolata, e in buona parte protetta nel suo equilibrio faunistico e nella sua vegetazione tipica della savana. Qui sopravvivono colonie di elefanti, gli ultimi esemplari di tutta l’Africa Occidentale di leoni, ghepardi e leopardi, una moltitudine di specie di gazzelle, babuini, facoceri, numerosi rettili. In prossimità dei bacini idrici si raggruppa la maggior parte delle specie avi-faunistiche e dimorano colonie di ippopotami e coccodrilli.
Architettura
L’architettura beninese è piuttosto varia, a seconda delle molteplici tradizioni, delle epoche, delle zone e della destinazione d’uso.
Se nei principali centri abitati, come Cotonou, Porto-Novo, Ouidah e Abomey, persistono interessanti esempi di architettura coloniale portoghese e francese, con contaminazioni afro-brasiliane, al fianco di edifici amministrativi e monumenti moderni e contemporanei, tipici del costruttivismo sovietico, nei villaggi rurali a predominare sono ancora le abitazioni tradizionali in argilla e materiali naturali, che seguono ancora le forme originarie.
I tre esempi più caratteristici di architettura tradizionale beninese, sono sicuramente le palafitte in legno di Ganvié, cittadina di 30.000 abitanti, interamente costruita sull’acqua; i Palazzi Reali di Abomey, patrimonio universale Unesco, con la loro pianta rettangolare o circolare nei mausolei e i suoi bellissimi bassorilievi policromi che raffigurano la simbologia delle dinastie reali; le abitazioni fortificate dei betammaribé (le tata), interamente costruite con paglia e fango e disseminate di feticci protettori animisti, che seguono criteri ingegneristici molto sofisticati, pur nella loro semplicità, in una sintesi perfetta di architettura civile (praticità), militare (difesa) e religiosa (culto dei feticci).
Nel 1996 la religione vudù è stata dichiarata religione ufficiale del Benin e questo ha risvegliato l’interesse internazionale verso l’identità e la storia di un popolo che ha subito tre secoli di tratta negriera. Nella città di Ouidah sono nati una serie di monumenti moderni, creati da artisti beninesi e internazionali, a scandire i punti nevralgici e simbolici di quelle che furono le tappe e i percorsi della tratta negriera. Parallelamente sono stati eretti templi e monumenti moderni per tentare di dare una forma e un’iconografia al significato più profondo e invisibile della religione vudù. Una sorta di architettura e scultura “didattica” che possano sensibilizzare e avvicinare alla cultura vudù e al più grande esodo forzato della storia dell’umanità.
Arte tradizionale
Il Benin è ricco di arte tradizionale e artigianato locale. La varietà è ovviamente legata all’altrettanta varietà di popoli e culture.
Dalle maschere rituali agli amuleti, dalle statue votive ai feticci, dai gioielli ai tessuti, dagli strumenti musicali alle armi di caccia, dalla pittura batik alla decorazione delle calebasse, perfino l’architettura delle tata (le abitazioni caratteristiche nei monti dell’Atakora) può essere considerata parte dell’arte scultorea, plasmata proprio come se fosse una scultura.
In legno, argilla e metallo (ma solo quelle di origine nigeriana yorouba), le sculture sono prevalentemente votive, legate alla pratica vudù, propiziatorie o talismani portafortuna, che si basano su stereotipi tramandati di generazione in generazione.
Le maschere sono una delle espressioni artigianali più interessanti e sono legate prevalentemente alla ritualità animista e vudù, come le cerimonie iniziatiche, i funerali, i matrimoni, le nascite e il loro scopo è prevalentemente propiziatorio, allontanare gli spiriti maligni, onorare gli antenati e le divinità. Gli esempi più belli sono nelle maschere gueledé e yoruba.
Anche la lavorazione dei tessuti è un’arte tipicamente beninese, risalente all’antico regno di Dahomey, di cui ancora oggi sono attive le fabbriche reali ad Abomey, che confezionano i caratteristici arazzi con la tecnica « patchwork ». Altri esempi particolarmente ricchi sono i tessuti-gioiello degli yoruba, interamente ricoperti di perline.
La terracotta e la lavorazione della rafia, sono invece tipiche del nord, nella zona dell’Atakora o di Parakou: il bellissimo vasellame delle donne betammaribé, le pipe tradizionali dei taneka, le ceste o le borse dei peuhl.
Cinema
Non esiste una vera e propria scuola di cinema o fotografia in Benin, come invece esiste in Burkina Faso o in Mali. Tuttavia esiste un festival dedicato al cinema africano (Quintessence) e esistono alcuni registi di livello, attivi dagli anni ’70, che hanno realizzato buone pellicole sulla storia del Benin, tra questi Pascal Abikanlou e Richard de Medeiros. Il Benin ha dato i natali all’ormai famoso attore hollywoodiano Djimon Hounsou.
Letteratura
La letteratura (in francese) beninese è stata una delle prime a nascere in Africa Occidentale, nel 1929 con la pubblicazione de «L’Escalve» di Felix Couchoro. Questo valse al Benin l’appellativo di “Quartier Latin dell’Africa” e incoraggiato il paese a investire particolarmente su educazione e istruzione. Durante il periodo coloniale il più grande scrittore fu Paul Hazoumé. Come nel resto dell’Africa Ovest anche in Benin la letteratura trae ispirazione dalla tradizione orale dei griots e dalle gesta storiche del popolo africano, tramandate oralmente di generazione in generazione.
Musica
In generale quando si parla di forme d’arte, in tutta l’Africa non si può prescindere dalla musica.
Il Benin non fa eccezione e la musica tradizionale, legata alle cerimonie religiose è talmente sentita e viva, da contaminare anche la musica commerciale contemporanea.
Ogni etnia ha le proprie sonorità, tra cui le più suggestive sono quelle che accompagnano le cerimonie gueledé e quelle degli spiriti egugun (delle maschere che rappresentano gli spiriti dei « rivenuti » dalle Americhe per vendicarsi).
Le percussioni sono la base della musica beninese e i tamburi più diffusi sono il dundun degli Yoruba e il djembé onnipresente in tutti i paesi africani.
Tra la musica contemporanea, in Benin va molto di moda la salsa e gli stili afro-caraibici, per la loro ovvia discendenza dal Benin, attraverso la schiavitù.
Tra i cantanti beninesi riconosciuti a livello internazionale figura Angelique Kidjo, originaria di Ouidah. Mentre più commerciale è il piacevole repertorio di Petit Miguelito dalle allegre sonorità afro-cubane.