Foto © M. Bartolini
A nord del Camerun, un mondo parallelo si apre agli occhi del visitatore, realtà molto lontana, non solo geograficamente, dalle potenti chefferies centro-occidentali, o dalle grandi capitali di Yaounde e Doualà, dove il progresso si barcamena in un equilibrio tutto camerunense, tra modernità e tradizione.
Ad eccezione della città amministrativa di Garoua, il profondo nord è la regione delle savane per lungo tempo dimenticate e desolate, scrigno di antichi popoli, solo in parte islamizzati, che continuano a vivere in sincretismo, secondo le tradizioni rurali più autentiche. Un universo a sé, tutto da scoprire, ed immerso in scenari naturalistici tipici del Sahel. Campi di mais e miglio, baobab, acacie e manghi, misteriosi stagni di caimani e riserve abitate da elefanti e rinoceronti, piccole case di argilla o di pietra disseminate in paesaggi fiabeschi, antichi lamidat o santuari animisti, all’ombra di picchi rocciosi dalle forme surreali.
I mercati sono il fulcro di questo piccolo universo di popoli e tradizioni. Se quelli cittadini sono il crocevia più ampio di popoli provenienti dai paesi limitrofi, quali Nigeria, Ciad, Centrafrica, quelli nelle zone rurali sono il punto di incontro di genti Peulh, Bororo, Kapsiki, Musgum, Hidé, Koma e tante altre. Un vero e proprio museo etnografico a cielo aperto.
In direzione est, non lontano dal Lago Maga, il popolo dei Mesgum si tramanda i segreti delle tradizionali case ad obice, interamente plasmate con l’argilla. Piccoli gioielli del profondo nord, quelle di Pouss sono dei capolavori di ingegneria spontanea, in cui ogni elemento apparentemente decorativo è in realtà un elemento funzionale. La loro struttura a cupola permette di supportare, secondo intuitivi calcoli fisici, le altezze vertiginose (fino a 9 metri), che mantengono l’isolamento termico, favorito anche dal materiale e dalla forma ovoidale, mentre le scanalature dell’intonaco incanalano l’acqua piovana, oltre a costituire un valido appoggio per poter ogni anno compiere le manutenzioni necessarie. Queste abitazioni non rappresentano solo un raffinato unicum di ingegneria,ma anche di bellezza estetica architettonicasenza pari, vera e propria opera scultorea.
A ovest, fulcro dei Monti Mandara, in un surreale paesaggio lunare, si erge il Picco vulcanico di Kapsiki, sotto il quale l’omonima popolazione nel villaggio di Rhumsiki ha mantenuto intatte le proprie tradizioni animiste, a dispetto della diffusione dell’Islam degli antichi lamidat, regolate attorno al consulto dei saggi anziani e deifeticheur tradizionali, in grado di predire il futuro utilizzando un granchio e un bastoncino di legno. Tra le caratteristiche abitazioni in pietra e tetto di paglia, tra le case dei fabbri e le giare di birra di miglio, le classi di età sono ancora la colonna portante della società tradizionale kapsiki, e particolarmente suggestive sono le cerimonie iniziatiche che introducono i giovani all’età adulta, accompagnate da sacrifici e danze tribali.
Tutti i popoli della regione ad essere rimasti animisti, arroccandosi sui Monti Mandara, vengono definiti dai popoli islamizzati con il termine generale e dispregiativo di Kirdi, ossia “pagani”. Sono Kirdi i Kapsiki, ma anche gli Hidé, i Koma, i Mafa, i Mofou, i Potoko, i Toupuri. Un piccolo mosaico etnografico, sparpagliato tra i villaggi tradizionali e che sarà facile incontrare nei mercati settimanali, punto di incontro delle economie tradizionali e delle culture di queste genti. Marou, Mara, Mokolo, Tourou, sono solo alcuni nomi di centri che accolgono a rotazione il mercato ebdomadario, con il suo andirivieni di genti: i Potoko con le granaglie coltivate in miracolosi terrazzamenti fertili nei dintorni di Oudjila, e che conservano in affusolati granai di argilla con tetto conico di paglia, sopraelevati su uno zoccolo di pietra, ai quali ogni anno verrà sacrificato un bue sacro, come pratica propiziatoria; le donne Hidé con i loro bellissimi copricapi ottenuti dai gusci essiccati delle calebasse, decorati geometricamente con colori accesi di pigmenti naturali; i fabbri Mafa, depositari dei segreti della lavorazione del metallo che forgiano incessantemente, in una paesaggio fiabesco nei dintorni di Koza, tra rocce granitiche, case plasmate come sculture d’argilla, al cospetto delle quali si consumano riti e sacrifici ancestrali; i Koma, popolo magico delle colline Alantika, con le loro piante medicinali e le loro pipe tradizionali, rimasti fortemente ancorati all’universo spirituale primigenio, che ruota attorno agli elementi naturali, al punto che ancora oggi sono soliti coprirsi di un solo perizoma di foglie, fissato in vita.
Se il profondo nord fu terra di conquista delle teocrazie Peulh che si sedentarizzarono, governando la regione dailamidat, i loro “parenti” Bororo rimasero interamente nomadi, ancora oggi praticanti della transumanza. Se è facile incontrare le loro bellissime donne, elegantemente vestite e accessoriate mentre vendono il latte cagliato al mercato, ancor più facile sarà incontrare le loro mandrie di zebù che attraversano la regione in cerca di pascoli.