Siti UNESCO
Laghi Ounianga (2012), valore ambientale.
Un insieme spettacolare di 18 laghi, in una delle zone più aride del Sahara. La maggior parte sono di acqua fossile ad alta concentrazione salina, per la quasi totale assenza di piogge e per la forte evaporazione. Spettacolari le gradazioni cromatiche che variano a seconda del livello di salinità e dalla diffusione dell’alga spirulina.
Massiccio dell’Ennedi (2016), valore ambientale e culturale.
Regione che conserva una geologia straordinaria e un ecosistema unico al mondo, che ospita ancora oggi gli ultimi esemplari di coccodrillo nilotico, e per il suo enorme valore culturale con uno dei corpus più ricchi del Sahara in arte parietale millenaria.
Arte rupestre
La presenza umana in tutto l’attuale deserto del Sahara è testimoniata dal rinvenimento di reperti in pietra risalenti al Paleolitico e al Neolitico, ma anche da un corpo di arte rupestre, la più copiosa e preziosa al mondo, che ci parla dell’evoluzione dell’uomo, delle specie faunistiche e dei cambiamenti climatici nel corso dei millenni.
Dagli esempi più antichi di graffiti che raffigurano in prevalenza animali selvatici quali elefanti o giraffe, risalenti a circa 10.000/7.000 anni fa, dalle raffinate pitture ocra del periodo cosiddetto bovide e delle “teste rotonde” (per via delle figure umane deformi e quasi extraterrestri), risalenti a circa 8.000/4.000 anni fa, per finire le più recenti del periodo cavallino, camelide e il periodo chiamato involutivo a causa delle piccole figure umane e animali molto stilizzate e semplificate (circa 3.000/1.500 anni fa), il deserto ci parla di epoche antichissime, in cui l’uomo dapprima raccoglitore e cacciatore, diventa sedentario e coltivatore. Ci parla anche di estinzione di specie animali che abitavano le verdi savane, prima dell’inizio del processo di desertificazione e ci parla di antichi culti animisti, di tecniche di coltivazione e allevamento.
L’arte rupestre è un preziosissimo documento storico sulle origini della civiltà moderna e sulla sua evoluzione, ancora tutto da scoprire e studiare a fondo.
Tra gli esempi più raffinati di pitture, splendidamente conservati negli anfratti rocciosi dell’Ennedi, meritano menzione le pitture del periodo cavallino e camelide del sito del Terkei e del Grande Arco, nell’Ennedi. Si tratta di figure in ocra e caolino, elegantemente disegnate in positivo, in cui le figure animali vengono raffigurate quasi come se stessero volando, per rendere iconograficamente l’idea del movimento del galoppo.
Un esempio tra i più interessanti di incisioni, probabilmente risalente a circa 7.000 anni fa, sono le titaniche figure femminili graffite a Niola Doa. Si tratta con tutta probabilità di immagini votive, legate alle credenze ancestrali e ai riti dell’abbondanza della Dea Madre, già diffusi all’epoca. Figure femminili che presentano delle complesse decorazioni corporee, probabilmente delle scarificazioni, pratica tribale tramandatasi ancora oggi in tanti contesti tradizionali africani, e che rafforzano ulteriormente l’ipotesi generalizzata, che la maggior parte dei siti di arte rupestre, fossero luoghi sacri di culto.
Architettura
Quando si parla di architettura in Ciad, bisogna sostanzialmente pensare a due culture principali differenti. Quella sedentaria dei popoli del sud e di una parte dei popoli del centro-nord, e quella nomade, tipica delle popolazioni del deserto. Queste due culture si basano su due differenti modi di vita che hanno di conseguenza prodotto due concezioni dell’abitato e del sociale, molto diverse.
Se presso i nomadi, quali i peulh-bororo, gli arabi o i tubù, la vita si svolge in tende di stuoie e in accampamenti interamente smontabili e trasportabili, in ambito rurale sedentario, i villaggi sono edificati seguendo una tradizione comune nell’utilizzo di materiali locali, prevalentemente paglia e argilla, anche se i materiali moderni, quali il cemento e la lamiera, si stanno purtroppo sempre più diffondendo, dal momento che richiedono una minor manutenzione, con conseguente snaturamento delle architetture tradizionali. Tuttavia l’organizzazione dell’insieme abitativo di ciascun villaggio rimane, di fatto, ancorata alla tradizione e con numerose varianti a seconda delle zone e della cultura locale, e ha subito qualche evoluzione a seconda delle vicissitudini storiche di ciascun popolo.
A seguito di incursioni e guerre tribali, erano molte le popolazioni che concepivano le proprie abitazioni e villaggi a scopo difensivo.
Le zadenes dei Mundang erano costruite in passato come dei veri e propri fortini, protetti da mura verso l’esterno e aperti verso la corte interna, con terrazze di controllo, nonché collegati alle zadenes dei vicini tramite passaggi, protetti anche essi da piccole mura. Anche i villaggi dei Kotoko erano organizzati come una piccola città fortificata di argilla, con case a due piani e terrazze di controllo.
Man mano che ci si sposta verso nord, cambiano le culture, il clima e quello che la natura offre. L’argilla scarseggia e i popoli sono per tradizione dediti al nomadismo o semi-nomadismo. Le case dei popoli sedentari o sedentarizzati in epoche recenti, vengono edificate prevalentemente con paglia e rami. Le abitazioni dei Kanembou si presentano come delle semplici capanne di spighe di miglio, ma concepite per rimanere ben salde al terreno sabbioso tramite un sistema di picchetti, che le fa resistere anche alle tempeste di vento. Gli Hadjerai e i Baghirmi, costruiscono prevalentemente capanne rettangolari o coniche con la paglia. Gli arabi sedentarizzati vivono in villaggi recintati di rovi durante la stagione delle piogge, mentre durante la transumanza costruiscono delle spaziose capanne di paglia e legno, sorrette da 6 pilastri centrali.
Uno degli elementi architettonici più caratteristici in tutte le culture sedentarie legate all’agricoltura, sono sicuramente i granai. Rappresentano l’elemento più importante all’interno del focolare, dove si stoccano i cereali per il fabbisogno di tutto l’anno e dal quale dipende la sopravvivenza di tutta la famiglia. La loro concezione è tipicamente funzionale. Devono resistere all’umidità, alle termiti, agli insetti. Sono generalmente studiati per avere una buona ventilazione e sopraelevati dal terreno, in modo che vi sia una sorta di camera d’aria isolante, che funge anche da riparo per gli animali domestici. Che siano in paglia o in argilla, in alcune tradizioni rispondono anche a canoni estetici e decorativi ben precisi, così come la loro forma è spesso dettata da esigenze simboliche, legate al culto animista dei riti propiziatori dell’abbondanza.
Arte tradizionale
L’arte tradizionale e l’artigianato in Ciad, come in gran parte dell’Africa, sono legati alla produzione di oggetti di uso quotidianoe rispondono quindi a esigenze soprattutto funzionali.
La loro fabbricazione era riservata in prevalenza alla casta degli Haddad, originariamente fabbri, poi divenuti artigiani in senso più ampio. Storicamente era una casta considerata inferiore, ma al tempo stesso molto rispettata proprio per il suo fondamentale ruolo all’interno della società. Essi ancora oggi possono sposarsi solamente tra di loro, al punto che vengono considerati un popolo a sé. Se agli uomini sono affidati i segreti della forgia, alle loro donne è invece affidata la lavorazione di utensili e vasellame in terracotta (arte condivisa con le sole donne Kotoko).
Il vimini è invece uno dei pochi savoir faire non riservati esclusivamente agli Haddad. Dall’intreccio della paglia vengono fabbricati numerosi oggetti di uso comune, ma anche le stuoie, le capanne, i tetti dei granai e delle case, i mobili e i cappelli, quindi un’arte che si tramanda in seno a tutti i popoli, ed è praticata tanto dagli uomini quanto dalle donne.
Riservata solo agli uomini presso il popolo Mundang è invece la tessitura del cotone.
A sud, gran parte della produzione artigianale è legata anche alle pratiche religiose del culto animista. Durante i riti di iniziazione, quelli propiziatori per il raccolto o di ringraziamento per la buona stagione delle piogge, si fa largo uso di oggetti di culto, dalle maschere in legno, alle cavigliere e braccialetti per i giovani iniziati, dai costumi di raffia agli strumenti musicali che accompagnano le danze delle cerimonie.
Al mondo femminile della bellezza e dell’ornamento del corpo è invece legata l’arte della lavorazione dell’argento, soprattutto tra i popoli del nord islamizzati, o della bigiotteria con perle, pietre e conchiglie, a sud. Collane, bracciali, anelli, cavigliere, parure vengono usate dalle donne di tutte le etnie, non solo per le occasioni speciali, ma anche nella vita di tutti i giorni.
La lavorazione del cuoio è un’arte molto antica, di cui sono maestri gli abitanti della regione di Abéché. La pelle ovina, caprina, bovina o di dromedario, dopo essere trattata e tinta secondo metodi artigianali molto antichi e con pigmenti naturali, viene utilizzata per confezionare accessori, scarpe, borse, tappeti, cuscini, ma anche amuleti portafortuna (gris-gris), soprattutto tra le popolazioni musulmane, che sono solite avvolgere dei versi del Corano in una piccola sacchetta di cuoio che viene appesa al collo o alla cintura, come protezione contro la malasorte.
Riguardo all’arte come sublimazione del processo creativo, se vi sono esempi di scultura votiva tra le popolazioni animiste, quindi legati comunque alla spiritualità e alla pratica religiosa ancestrale, per quanto riguarda la pittura non vi è una vera e propria tradizione, ad eccezione della “body art” e della scarificazione corporale tribale, e dagli esempi antichissimi di pittura rupestre, si fa un salto temporale che arriva fino al periodo coloniale, in cui si formarono i primi pittori di arte contemporanea, prevalentemente del genere naif.
Cinema
Il cinema ciadiano muove i suoi primi timidi passi intorno agli anni ’70 del secolo scorso. Dapprima seguendo le orme del primo regista specializzato soprattutto in film-documentari, Edmond Sailly, per poi avventurarsi nel campo del cortometraggio con Mahamat Saleh Haroun, che presenta al Festival Panafricano di Ouagadougou (FESPACO) nel 2003 il suo film Notre père riscuotendo un buon successo. Il suo ultimo successo a livello internazionale è Un homme qui crie che si aggiudica il premio della giuria al Festival di Cannes nel 2010. Da segnalare anche un cinema al femminile, con la regista Zara Mahamat Yacoub che ha affrontato il tema dell’escissione (purtroppo ancora largamente praticata dalla maggior parte dei popoli ciadiani) nel 1996 con Dilemme au feminin, aggiudicandosi il premio Club du Sahel.
Letteratura
In un paese come il Ciad, in cui la maggior parte della popolazione basa la propria storia sulla tradizione orale e in cui fino a poche decine di anni fa il tasso di analfabetizzazione si attestava sull’80% circa dei suoi abitanti (soprattutto del centro-nord) è facile immaginare che non vi sia una consistente produzione letteraria.
Con l’esordio della colonizzazione francese, furono soprattutto i popoli del sud ad accogliere più di buon grado le influenze culturali straniere e accettare quindi la scolarizzazione. Uno dei primi e più famosi scrittori autobiografici ciadiani fu pertanto un figlio del sud: Joseph Brahim Seid (morto nel 1980). Nello stesso filone autobiografico si inserisce Antoine Bangui, che racconta in Prisonnier de Tombalbaye i suoi anni di carcere sotto la presidenza di Tombalbaye. Lo scrittore teatrale e di romanzi Baba Moustapha (morto nel 1982) ha affrontato temi più audaci di denuncia e riflessione verso la politica dittatoriale del proprio paese. In omaggio a un paese con una lunga tradizione orale, nel 1996 venne pubblicata la prima Antologia di Poesie Ciadiane, edita da Adelit a N’Djamena.
Musica
La musica tradizionale ciadiana, come tutta la musica africana subsahariana, affonda le sue radici nella notte dei tempi, legata indissolubilmente alla cultura della tradizione orale dei griots, i cantastorie addetti a cantare la storia e le gesta degli antichi regni e popoli, e alla pratica dei riti e cerimonie ancestrali.
Ancora oggi molti strumenti musicali appartenenti alla tradizione vengono suonati non solo durante le cerimonie sacre o le feste tradizionali, ma nella produzione musicale contemporanea, arricchendo e completando le sonorità degli strumenti musicali moderni.
Così non stupisce che la voce delle nuove star contemporanee ciadiane, quali Mounira Mitchala, il gruppo Tibesti, o il rapper McSolaar, vengano spesso accompagnate da un mix di chitarre elettroniche , tastiere, mixer e le corde della kora (antichissima chitarra ricavata da una zucca), i suoni del balafon (xilofono formato da tasti di legno e zucche come casse di risonanza), o il ritmo del djembé (tamburo tradizionale) e il sibilo del piccolo flauto di terracotta dei Kotoko, il grele.