Siti UNESCO
In Costa d’Avorio sono 4 i siti inseriti nella lista del Patrimonio Mondiale UNESCO.
Tre sono di valore ambientale (per i quali rimandiamo alla sezione “Parchi Nazionali e Tutela):
Parco Nazionale del Taï (1982)
Parco Nazionale del Comoé (1983)
Riserva Naturale dei Monti Nimba (1981)
Uno per il suo valore culturale:
Città Storica di Grand Bassam (2012), prima capitale coloniale della Costa d’Avorio sotto la giurisdizione francese, venne edificata tra il XIX e il XX secolo, e organizzata in quartieri specializzati, quello amministrativo, commerciale, residenziale e quello tradizionale dei villaggi di pescatori N’Zima. La sua importanza è legata sia ad eccelsi esempi di architettura coloniale funzionale e diversificata secondo le destinazioni d’uso, sia perché divenne un importante centro economico cosmopolita, che attirava commercianti da tutto il mondo (africani, libanesi, europei…), testimonianza quindi di complesse relazioni commerciali tra differenti realtà e complessi equilibri non sempre pacifici tra i coloni e le popolazioni locali.
Architettura
Quando si parla di architettura ivoriana, si parla sostanzialmente di tre tipologie principali ben distinte, che riflettono altrettante realtà storiche e culturali della Costa d’Avorio: quella tradizionale, quella coloniale e quella contemporanea urbana.
Se per l’architettura coloniale l’esempio massimo è sicuramente il centro storico di Grand Bassam e per l’architettura contemporanea quello amministrativo di Abidjan e della capitale Yamoussoukro, per l’architettura tradizionale gli esempio sono tanti, quanti i popoli e le rispettive usanze, che abitano il paese.
Architettura tradizionale
Nell’interessante Museo Nazionale di Grand Bassam sono esposti in maniera molto illustrativa una serie di modellini in scala che riproducono le differenti tipologie abitative tradizionali dei popoli della Costa d’Avorio. Una caratteristica comune a tutti è l’utilizzo di materiali autoctoni e quello che la natura offre.
Se nelle regioni del centro e del nord, l’argilla è la materia prima, i terreni sabbiosi della costa non hanno permesso le costruzioni in muratura, pertanto le abitazioni sono in bambù, legno di palma e frasche.
L’abitato riflette la cultura, le tradizioni e l’organizzazione sociale e familiare di ciascuna comunità. Nel nord del paese le case costruite in banco (argilla seccata al sole) presso alcuni popoli, sono concepite come delle piccole fortezze difensive, che dovevano proteggere le popolazioni dalle incursioni e guerre tribali susseguitesi per molti secoli nell’area sahelo-sudanese. Le soukala dei Lobi, popolo della Comoé che abita anche la regione di Gaoua in Burkina Faso, ne sono uno degli esempi più significativi. Di forma rettangolare, sono costruite su due piani a scopo di avvistamento, prevedono un ricovero interno anche per gli animali e la terrazza, che ospita la stanza del capofamiglia e i granai, è messa in collegamento con ciascuna stanza interna. I muri sono plasmati come una scultura in terracotta, per pose di argilla sovrapposta, e la corte esterna è disseminata di feticci protettori, anch’essi in argilla.
I villaggi senoufo sono generalmente concepiti come un agglomerato di case tonde con tetto conico di paglia, disposte intorno a una corte e ogni nucleo familiare ne accoglie tante, quante sono le mogli del capofamiglia. Caratteristiche in regione senoufo sono le case sacre animiste. Nel villaggio di Niofoins non lontano da Khorogo, vi sono i due templi animisti più importanti e potenti di tutta la regione, ove una moltitudine di genti si rivolge quotidianamente per ottenere favori e offrire sacrifici in cambio di protezione. Interamente costruiti in argilla plasmata magistralmente e decorata di bassorilievi dalle forme simboliche, sono sormontati da un caratteristico tetto conico di paglia, molto appuntito e alto svariati metri, che riporta ad atmosfere fiabesche.
Se si parla di edifici religiosi, tra i più antichi e interessanti esempi in argilla, sono le due piccole moschee di Kong, simbolo dell’islamizzazione dei popoli delle savane del nord, ad opera dell’Impero del Mali e dell’Impero Songhai. In stile sudanese, le moschee vennero costruite intorno al XVI secolo e successivamente restaurate. In mattoni crudi di argilla e i tipici pali in legno di palma che ne facilitano il consueto crepissage (intonaco) stagionale, si rifanno al più antico capolavoro dello stile sudanese religioso, la Moschea di Djenné in Mali.
Presso i Dan, se l’abitato non prevede un’ingegneria difensiva, lo è la scelta del luogo, sempre in avvallamenti collinari non visibili da lontano. Le case in banco sono circolari e con tetto di paglia e possiedono al loro interno uno spazio per la cucina e un baldacchino dove conservare i cereali. Un’usanza del tutto particolare è quella di cospargere gli stipiti di entrata con uno strato di sterco animale che aiuta ad isolare l’interno della casa dagli insetti.
Lungo le regioni costiere, i villaggi dei pescatori Kroumen o N’Zima, sono interamente costruiti di capanne rettangolari in bambù, frasche o legno di palma, dal momento che i terreni sabbiosi non offrono la materia prima per costruire in muratura, mentre presso gli akan delle regioni centrali l’argilla rossa viene preparata in mattoni rettangolari crudi, invece che modellata per pose sovrapposte. Particolarmente elaborate sono le architetture dei palazzi reali del regno Agni Indenié ad Abengourou, il cui restauro moderno non ne ha fortunatamente alterato le caratteristiche originarie e la muratura antica.
Architettura coloniale
Il quartiere storico Ile de France di Grand Bassam è nella sua pianificazione urbanistica e nei suoi singoli edifici, l’esempio più caratteristico in Costa d’Avorio per l’architettura di epoca coloniale. Non a caso inserito nella lista Patrimonio Mondiale UNESCO dal 2012, costituisce un’importante testimonianza dell’organizzazione economica, sociale e politica dei coloni francesi d’oltremare e dei loro complessi e delicati rapporti con le realtà locali e con un sistema di commerci cosmopoliti, che richiamarono rappresentanti da tutta l’Africa, Europa e Medioriente. Edificata tra il XIX e il XX secolo in una zona già abitata dalle popolazioni locali di pescatori N’Zima, la città si sviluppò su un’isola collegata tramite un ponte alla terraferma. I tre quartieri principali furono edificati progressivamente nell’arco di circa cinquant’anni, non lontano dal villaggio di pescatori e dal quartiere degli abitanti locali: il quartiere amministrativo, il quartiere commerciale e il quartiere residenziale. I primissimi edifici vennero costruiti tra il 1893 e il 1900, quando una grave epidemia di febbre gialla obbligò i coloni ad abbandonare la città e trasferirsi a Bingerville. A questo primo periodo appartengono una serie di edifici realizzati con l’utilizzo di materiali locali, quindi prevalentemente il legno per le intercapedini, il bambù per le finizioni e i tetti di frasche, e successivamente con i nuovi materiali in acciaio modulare prefabbricato, introdotti successivamente all’Esposizione Universale di Parigi del 1889. Una terza fase più tardiva, a partire dagli anni ’10, vide invece l’introduzione del cemento armato.
Passeggiando fra le tranquille, pittoresche, ma anche decadenti vie del centro storico, è piuttosto evidente riscontrare i differenti stili architettonici, riconducibili in parte all’utilizzo dei materiali differenti, ma anche all’evoluzione dello stile architettonico europeo tra la fine dell’800 e i primi anni ’40/’50 del XX secolo, passando da esempi tipicamente coloniali, funzionali ai climi tropicali, a esempi più celebrativi in stile neoclassico, infine evolvendosi nell’estetica del Liberty e dell’Art Nouveau.
Tra gli edifici più rappresentativi sono l’antica cattedrale, l’attuale Museo Nazionale del Costume (ex Palazzo del Governatore), il vecchio Municipio e il Palazzo di Giustizia, la monumentale Maison Ganamet, l’ex Circolo Culturale Francese (oggi centro ceramico) o tra gli esempi dell’ultimo periodo, i due edifici gemelli del mercato alimentare.
Ulteriori interessanti esempi di architettura coloniale in Costa d’Avorio, sono quelli che coesistono con i grattacieli moderni del Quartiere Amministrativo di Abidjan, o alcuni edifici dell’antico porto di Sassandra, ormai fatiscenti e in totale abbandono.
Architettura contemporanea
Il centro amministrativo di Abidjan nel Quartiere Plateau, è un unicum di architettura contemporanea africana, al punto che il suo skyline viene definito “la Manhattan dell’Africa Occidentale”. E’ il principale cuore pulsante degli affari economici dell’Africa dell’Ovest e i suoi grattacieli ospitano le sedi direzionali di importanti banche e organi amministrativi panafricani. La sua pianificazione urbana risale agli anni ’50 e ’60 del secolo scorso e si è sviluppata nel corso dei 20 anni successivi in quello che ne è divenuto il volto attuale. Un insieme di edifici che rispecchiano lo stile modernista tipico della seconda metà del XX secolo, quali il Palazzo Presidenziale o la Cattedrale di Saint-Paul (dell’architetto italiano Aldo Spirito), e il funzionalismo anni ’70 e ’80 dei suoi caratteristici grattacieli di vetro, che svettano sulla Laguna di Ebrié.
A questi anni di pieno boom economico ivoriano, risale anche la fondazione ex-novo dell’attuale capitale politica Yamoussoukro. Voluta dal Presidente Felix Houphouet-Boigny, originario del piccolo villaggio preesistente, fu il risultato di un ambizioso piano regolatore che ne vide l’edificazione in pochissimi anni. Edifici-simbolo che regolano le prospettive e il tessuto urbano razionalista, sono il primo Palazzo Presidenziale e la sua teoria di laghi artificiali, popolati di caimani per volontà del fondatore (quale simbolo di potere), lo storico Hotel President, la Fondazione Felix Houphouet-Boigny, l’Istituto Politecnico e l’imponente Basilica di Notre Dame de la Paix, edificio colossale e sfarzoso visibile da tutti i punti della città, costruito in soli 4 anni sul modello della Basilica di San Pietro in Vaticano. Progettata dall’architetto Pierre Fakhoury su commissione di Boigny, la Basilica costò il corrispettivo di circa 250.000.000 di Euro, e previde l’utilizzo di materiali quali il marmo di Carrara, le vetrate colorate di maestranze francesi, infissi e decorazioni in ebano, lamina d’oro e lapislazzulo. Rispetto alla cupola di San Pietro, quella di Notre Dame de la Paix è più alta di 25 metri. Donata dall’ex Presidente ivoriano al Vaticano, venne consacrata a Basilica nel 1990 a seguito della visita di Giovanni Paolo II.
Arte tradizionale
Tra le più ricche dell’Africa dell’Ovest, la produzione artigianale in Costa d’Avorio è legata alle tradizioni e costumi di ciascun popolo, pertanto estremamente variegata e diversificata a seconda delle regioni e delle materie prime locali utilizzate.
Si possono distinguere due sfere principali nell’artigianato locale: una legata alla quotidianità e all’utilitarismo dei manufatti, l’altra legata alla spiritualità o a un utilizzo più simbolico di oggetti investiti di sacralità.
Cominciamo dai tessuti tradizionali. La lavorazione del cotone è un’arte molto antica presso numerosi popoli. Nelle regioni centro-settentrionali, la tessitura è affidata agli uomini e se i Baulé e le popolazioni akan, confezionano tessuti colorati, riccamente decorati di motivi geometrici, ottenuti dai fili colorati sapientemente intrecciati e combinati durante la tessitura, i famosi bogolan dei senoufo, monocromi, che ispirarono le tele di Picasso, sono invece quanto di più caratteristico possa offrire la tecnica di tintura del tessuto in cotone grezzo. Il risultato è una raffinatissima gamma di arazzi, magistralmente disegnati e tinti di nero, con tecniche antichissime e utilizzando pigmenti ottenuti dalla macerazione di foglie e cortecce di piante endemiche. Tra i motivi prediletti sono quelli tribali, legati all’universo delle maschere e ai riti iniziatici del Poro, o motivi simbolici antropomorfi e animali, quali le piccole gazzelle che abitano la savana sudanese, o gli uccelli calao.
Presso i Beté i tessuti (tapa o gleke) vengono invece ricavati dalla corteccia degli alberi, secondo un processo tradizionale di battitura, essicazione e tintura naturale, per il quale questo popolo è un vero maestro. Ancora oggi nelle cerimonie ufficiali e danze tradizionali, i costumi vengono fabbricati secondo questo antico savoir faire.
Il villaggio senoufo di Kapele, non lontano da Khorogo, è invece famoso nella fabbricazione delle perle di terracotta. Se l’argilla è la materia prima, la sapiente mano degli artigiani locali rende questi piccoli manufatti delle vere e proprie opere d’arte, decorate con pigmenti naturali e una piccola piuma di faraona, con grande capacità miniaturista e fantasia nei motivi geometrici.
Katiola, a nord di Yamoussoukro, è invece il centro più rinomato per la lavorazione di utensili di uso quotidiano in terracotta, e in questo caso, il savoir faire è affidato tradizionalmente all’universo femminile.
In terra Dan, sono invece famosi e particolarmente pregiati i manufatti in vimini e intreccio di fibre naturali, un’antica arte che la leggenda vuole sia trasmessa dagli spiriti. Non a caso a Danane si trovano i famosi ponti sacri di liane intrecciate. Caratteristica nella regione di Man è anche l’arte della scultura, in particolare utilizzando un legno simile all’ebano, ma dalla intensa colorazione rossa. In un antico quartiere della città alcune famiglie si tramandano da secoli quest’arte, creando dei manufatti molto raffinati, dalle maschere tradizionali alle sculture votive o sgabelli sacri.
L’arte scultorea è una tradizione molto antica presso tutti quei popoli legati ancora profondamente alle credenze ancestrali e alla ritualità delle maschere sacre. Ogni popolo animista ha le proprie maschere, magistralmente scolpite da apposite manovalanze di iniziati, uniche depositarie dei segreti del “legno sacro”. Tra le maschere più caratteristiche di tutta l’Africa, sono sicuramente quelle dei Senoufo, dei Dan e dei Baulé.
L’interessante Museo delle Civilizzazioni di Abidjan, merita senz’altro una visita per la sua importante raccolta di opere e manufatti antichi, legati agli usi e costumi di ciascun popolo e alla loro complessa spiritualità. Un interessante percorso si snoda tra le sale di esposizione di oggetti per il culto e i riti, con dei bellissimi esempi di maschere, svariate sculture totem e votive, dei raffinati tessuti tradizionali dei principali popoli e per finire una teca dedicata ai magnifici e preziosi gioielli in oro e avorio delle popolazioni akan, o ai manufatti rituali in ferro di cui la casta dei fabbri malinké e senoufo sono da secoli i più grandi maestri.
Nel campo delle arti grafiche, la Costa d’Avorio merita sicuramente menzione. Se l’inventiva artistica fine a sé stessa, venne introdotta con il colonialismo, è pur vero che presto si sviluppò una corrente tutta ivoriana, che ha portato la nazione ad avere oggi un posto di spicco nel panorama internazionale, con una rosa di artisti quotati in tutto il mondo e alcune gallerie d’arte contemporanea piuttosto rinomate (un esempio tra tutti la Galleria Cécile Fakhory di Abidjan).
Fu a partire dagli anni ’50 che cominciò a maturare la volontà di affrancarsi dall’influenza europea e muovere i primi passi autonomamente in campo artistico. Sono gli anni in cui Christian Lattier rivoluzionerà il concetto di scultura, creando le sue forma con corda e fil di ferro, o Michel Kodjo diventerà il primo pittore ivoriano ad ottenere una personale, in cui esporrà le sue complesse opere oniriche. La strada aperta da questi due maestri, porterà nel 1965 alla fondazione dell’Ecole des Beaux-Arts di Abidjan, dove si formeranno le successive generazioni di giovani artisti.
Tra gli anni più incisivi e produttivi furono sicuramente gli anni ’80, con la nascita del movimento artistico dissidente Vohou vohou (assemblaggio senza criterio), cui aderirono alcuni dei più importanti artisti ivoriani, da Yacouba Touré a Koudougnon Theodore, da Mathilde Moro a N’Guessan Kra. Il Vohou vohou, nasceva dall’esigenza pratica di utilizzare dei materiali di recupero per creare arte, dal momento che i materiali di importazione erano troppo costosi per dei giovani artisti ivoriani. Così cominciarono ad assemblare tutto quel che potevano recuperare e “creare” con qualsiasi cosa gli capitasse sotto mano, dai chicchi di caffè alla sabbia, dalla corda ai pezzi di stoffa, dal metallo riciclato alle piume.
Altra corrente molto produttiva in Costa d’Avorio fu l’arte naif, i cui esponenti si formarono piuttosto al College d’Enseignement Artistique di Abengourou, aperto nel 1980. Augustin Kassi, Camille Kouakou, Idrissa Diarra, sono alcuni dei nomi più famosi nel genere naif, con all’attivo numerose esposizioni in campo internazionale.
Nell’attuale panorama dell’iper-contemporaneo, un artista sta destando particolare interesse negli ultimi anni, anche fuori dai confini ivoriani, Armand Boua e le sue enormi tele, un originale mix di astrattismo del colore e figurativo urbano.
Cinema
La Costa d’Avorio indipendente ha conosciuto una stagione del cinemadi discreto livello e con qualche buon risultato, fino agli anni ‘70. Successivamente purtroppo la televisione, con i telefilm commerciali in stile soap-opera o qualche serie di azione, ha quasi totalmente soppiantato la produzione cinematografica.
Nel 1962 nacque la SIC, Société Ivoirienne de Cinéma, con l’ambizione pedagogica di realizzare film impegnati nel campo del sociale, dell’educazione e per sensibilizzare sulle problematiche della società ivoriana contemporanea. Sono gli anni d’oro del cinema ivoriano, in cui operano registi quali Timité Bassori (La femme au couteau), Désiré Ecaré (Concerto pour un exil) e il più famoso Henri Duparc (Bal Poussiére), prima che la televisione faccia la sua apparizione e sancisca la fine dell’industria cinematografica.
Bisognerà aspettare gli anni ’90 per vedere una timida ripresa e finalmente la premiazione internazionale di una pellicola ivoriana, con Au nom du Christ del regista Roger Gnoam M’Bala, premiato al FESPACO di Ouagadougou.
Gli anni 2000 hanno visto il formarsi di qualche interessante regista e qualche buona pellicola, anche se spesso in coproduzione straniera. Tra tutti, il film al femminile Un homme pour deux soeurs (2007) della regista Marie-Louise Asseu e un primo interessante esperimento di film di animazione nel 2013, con Pokou, princesse ashanti, incentrato sulla mitica figura della principessa del popolo Baoulé, realizzato da Abel Kouamé negli studi di animazione Afrikatoon.
Letteratura
Come in tutti i paesi dell’Africa sub-sahariana, anche in Costa d’Avorio una vera e propria letteratura è nata con la colonizzazione e l’introduzione della lingua scritta dei coloni. Se inizialmente si è sentita l’esigenza di raccogliere, trascrivere e tradurre in francese, i racconti, le leggende e le storie dei popoli, tramandati fino a quel momento oralmente nelle lingue locali, bisognerà aspettare il XX secolo per un vero e proprio esordio di una letteratura nazionale e la pubblicazione dei primi romanzi di autori ivoriani in lingua francese. Tra i pionieri, ricordiamo Aké Loba, Zégoua Gbessi Nokan e soprattutto Bernard Dadié.
Quest’ultimo fu una delle principali figure di spicco nel campo del romanzo ivoriano, ma anche della letteratura africana in generale. Giornalista, politico e scrittore, si formò a Bingerville negli anni ’30 e pubblicò il suo primo lavoro Les Villes, una pièce teatrale, nel 1934, prima di trasferirsi in Senegal e debuttare quale giornalista contro il sistema coloniale. Dalla sua incarcerazione nel 1949 in patria, in quanto militante “sovversivo”, prenderà forma il suo Carnet de Prison. Negli anni ’50 vede la luce la sua più importante produzione di poemi, tra cui Afrique debout! e La Ronde des jours. Tra i suoi romanzi più celebri sono Climbié (1956) e Les jambes du fils de Dieu (1980), mentre tra le sue raccolte di racconti africani sono Pagne noir (1955) e Legendes africaines (1954).
Un altro esponente significativo nel panorama letterario ivoriano, fu Ahmadou Kourouma, nato nel 1927 a Boundiali. Nel 1960 pubblicherà il suo primo romanzo, Les Soleils des Indépendances, una feroce critica del sistema politico a partito unico, talmente feroce che il governo ivoriano gli “consigliò” di rimanere improduttivo fino agli anni ’90, in cui videro la luce Monné e En attendant les betes sauvages (1998), ancora impegnati in una profonda critica ai sistemi dittatoriali dei paesi africani post-indipendenza, che oltre al Premio Inter gli valsero anche l’esilio a Lione, dove è morto nel 2004.
Forse uno dei più fecondi e popolari autori ivoriani, è oggi “IBK”, Isaie Biton Koulibaly, nato ad Abidjan nel 1949 e formatosi in campo giornalistico e dell’editoria, fondando una sua propria Casa Editrice, la Koralivre. Ad oggi ha all’attivo una ventina di opere tra romanzi e raccolte di novelle, in cui affronta le sue tematiche predilette, la politica, le donne e Dio, in uno stile pulito, semplice e spesso ironico e impertinente. Alcuni dei suoi titoli sono: Le Sang, l’amour et la puissance, Et pourtant elle pleurait e La Bête noire.
Altre penne famose ivoriane, sono quella di Venance Konan, autore impegnato e critico dell’opera di denuncia alla corruzione Négriers (2007), quella del pluripremiato autore di poesie Songe à Lampedusa, Giosué Guébo, o ancora quella al femminile di Henriette Diabaté con il suo romanzo documentarista La marche des femmes sur Grand-Bassam (1975).
All’universo femminile è legato anche un piccolo capolavoro di letteratura fumettista, scritto e ideato dalla scenografa ivoriana Marguerite Abouet e dall’illustratore francese Clement Oubrerie. Il fumetto Aya de Yopougon, pubblicato in 3 tomi e premiato nel 2006 al Festival di Angoulême, racconta con leggerezza e ironia, ma anche realismo e contemporaneità, la quotidianità tutta ivoriana di tre giovani eroine alle prese con i primi problemi adolescenziali, nella Abidjan degli anni ’70.
Musica
Quando si parla di cultura in Costa d’Avorio, non si può prescindere dalla musica. La musica e il ritmo hanno da sempre accompagnato la quotidianità ivoriana fin dalla notte dei tempi, come forma comunicativa, religiosa e anche ludica. Ogni popolo ha la propria tradizione musicale, i propri ritmi e strumenti musicali, legati agli usi e costumi e alla spiritualità. Basti pensare che il ritmo dei tam tam (djembé) era usato fin dall’antichità per comunicare a distanza, come forma di richiamo a raccolta delle comunità, ma anche per segnalare un pericolo, e come elemento imprescindibile di qualsiasi forma rituale e di cerimonia sacra.
Forse la Costa d’Avorio al pari del Mali, è il paese più interessante nella propria evoluzione musicale e quello che ha saputo reinterpretare in maniera originale la tradizione, creando nuovi generi musicali contemporanei.
La Costa d’Avorio è la patria del zouglou e del coupé decalé, ma anche di una corrente tutta africana del reggae.
E’ in Costa d’Avorio che hanno visto i natali Alpha Blondy e Tiken Jah Fakoly, il primo, padre del reggae africano negli anni ’80 e ancora attivo, il secondo, suo degno discepolo che spopola oggi ovunque nel mondo con i suoi testi di denuncia, registrando il tutto esaurito ai suoi concerti, che siano a Parigi o ad Abidjan.
Se la loro ispirazione va ricercata nella Giamaica di Bob Marley, per lo zouglou e il coupé decalé, le radici sono tutte ivoriane e risalgono alla musica e le danze tradizionali dei Beté. I primi artisti ad attualizzare e contaminare con sonorità più moderne la tradizione musicale beté, furono Amedée Pierre e Ernesto Djedjé. Spinti dal desiderio di creare una musica originale ivoriana, in un momento in cui in Costa d’Avorio spopolavano generi di importazione quali la salsa caraibica, il rock, il funky o il soul, cominciarono a cantare in lingua beté sul filone della tradizione, arricchendo le proprie composizioni con strumenti e ritmi della contemporaneità. Il risultato fu un genere tutto nuovo chiamato ziglibiti. E’ a partire dagli anni ’90 e l’introduzione della musica elettronica, che lo ziglibiti esplode, nel vero senso del termine, nell’attuale genere zouglou e nella coupé-decalé, che rimbombano in tutte le discoteche, maquis e strade della Costa d’Avorio.
Lo zouglou nacque in seno alle manifestazioni studentesche degli anni ’90, con l’esigenza di “fare rumore” in tutti i sensi. Ma i ritmi forsennati e assordanti della musica erano e sono ancora oggi, può apparire un controsenso, accompagnati da testi che parlano di pace, fratellanza e amore, ma anche di denuncia politica, con parole spesso di amara ironia. Tra gli esponenti principali dello zouglou sono gli Espoir 2000, i Garagistes e i Magic System, che si avventurano spesso anche nell’universo del coupé-decalé e sono conosciuti ormai a livello internazionale anche fuori dai confini africani. Il coupé-decalé nasce più tardivamente in un ambiente totalmente diverso. Sono le discoteche e i cabaret degli anni 2000, la tecno-music e un tipo di messaggio consumistico e di evasione dai problemi quotidiani, il terreno fertile a cui si ispirano i suoi esponenti. Se in antichità erano i griots a cantare le gesta eroiche dei popoli e dei sovrani, ora sono i dj nelle discoteche, a commentare e improvvisare frasi ritmate ad effetto sugli avventori della pista da ballo o sui ricchi consumatori ai tavoli, gratificandone le disponibilità economiche per ottenere delle buone mance. Il coupé-decalé ha presto lasciato i confini ivoriani riuscendo ad avere molto successo nelle discoteche europee, seppur totalmente decontestualizzato dall’ambiente e dalla cultura urbana africana in cui vide la luce. Oltre ai già citati Magic System, esponenti di punta sono stati Douk Saga e DJ Arafat, prematuramente scomparso nel 2019 a seguito di un incidente stradale ad Abidjan.