In prossimità della città di Assuan, la Grande Diga sul Nilo, inaugurata nel 1971, modificò per sempre la geografia di un’intera regione e il destino di una popolazione con il suo incredibile passato. Solo la buona volontà dell’Unesco e la collaborazione degli stati europei, strappò alle acque del Lago Nasser, in una corsa contro il tempo, gli inestimabili tesori, testimonianze delle civiltà millenarie più importanti della Valle del Nilo, che sarebbero altrimenti sprofondati irreparabilmente negli abissi.
Interamente smontati e rimontati nel corso di una ventina di anni, in posizione arretrata rispetto alle sponde che venivano progressivamente conquistate dall’innalzarsi del livello delle acque, i templi e monumenti di varie epoche faraoniche, tolemaiche, ellenistico-romane, copte e ottomane, gioielli indiscussi della Nubia, furono oggetto della più colossale campagna di salvaguardia mai messa in atto.
Salpando a bordo di una dahabeya e navigando tra la prima e la seconda cateratta del Nilo, zona occupata oggi dal bacino artificiale del Nasser, non possiamo che ringraziare, di poter ancora godere di un simile prodigio archeologico. Se ce ne fosse il bisogno, la storia della salvezza di simili tesori architettonici aggiunge ancor più pathos alla crociera delle meraviglie!
Tra scenari nilotici impareggiabili, un itinerario flottante che parte da Assuan, dai grandiosi retaggi dell’Isola Elefantina, con la sua triade che controllava il nilometro, e quelli tolemaico-romani sull’Isola di File, arriva al tempio augusteo del I secolo d.C. a Kalabsha, dedicato al dio Mandouli e a Iside, prosegue a Beit el Wali, sito parzialmente rupestre dedicato ad Amon-Ra e voluto da Ramses II, con il suo santuario dai bellissimi bassorilievi ed il vestibolo. Raggiunge Wadi el Seboua, con le sue stratificazioni a Dakka, El Seboua e Meharraqa, tra sfingi e pantheon faraonici, architetture meroitiche, decorazioni tolemaiche e divinità sincretiche romano-augustee. Si inoltra tra villaggi di pescatori, quinte fluviali puntellate di feluche, furtivi coccodrilli nilotici e paradisi ornitologici, in cui si rievocano i nomi leggendari di Tutmose, Amenofi e Ramses, che risplendono di continuo in affreschi parietali riccamente decorati, vestigia che accolgono i culti divini di Amon-Ra e Ra-Harakhti, ad Amada e El Darr, si immergono in reminiscenze cristiano-copte del VII secolo d.C. a Kasr Ibrim e sovrapposizioni ottomane successive, di antiche fortezze di sultanati turchi. Fino a raggiungere la perla indiscussa, l’emozione più grande, un miraggio onirico che appare improvviso dalle acque in tutta la sua monumentalità, i due templi rupestri di Abu Simbel. Indescrivibili nella loro solennità, il Grande Tempio di Ramsès II e il Piccolo Tempio di sua moglie Néfertari, si stagliano scolpiti nel cuore della montagna, meraviglie architettoniche nate nel XIII secolo a.C. per commemorare la vittoria nella battaglia di Qadesh, esaltando le glorie delle divinità Ptah, Ra-Harakhti e Amon-Ra.
La facciata del Grande Tempio, in arenaria rosa, misura 30 metri in altezza e 40 in larghezza, composta da quattro statue colossali alte 22 metri, di Ramsès II che si fa ritrarre con la corona dell’Alto e del Basso Egitto, circondato di incredibili bassorilievi, sculture minori e fregi. Poco distante quello di misure più ridotte, dedicato al culto della dea Hathor, cui era dedita la sposa reale Néfertari, qui raffigurata assieme al faraone e alla divinità, di cui lei stessa porta gli attributi, in un unicum, in cui per la prima volta in Egitto viene dedicato un tempio alla regina consorte e la cui effigie è scolpita in proporzioni uguali a quelle di Ramses.
La magia del sito raggiunge l’apoteosi due volte l’anno, per il fenomeno chiamato “miracolo del sole”, momento in cui i raggi solari, adorati dalla teoria di 22 babbuini scolpiti in facciata, penetrano nel santuario del Grande Tempio, illuminando le statue di Ramses e delle divinità. L’asse maggiore del tempio, era stato calcolato appositamente dagli architetti affinché non venisse investita di luce l’effigie di Ptah, divinità connessa con il mondo sotterraneo, e che doveva quindi restare perennemente avvolta nell’ombra. L’immagine del sovrano è così vivificata e ricaricata dell’energia dell’astro solare, insieme a quelle di Amon-Ra e Ra-Harakhti, con i quali Ramses si identificava, tramite la propria natura divinizzata. Luogo grandioso, che unisce la forza e potenza del faraone e della sua sposa, al misticismo spirituale, le facciate fanno da imponente scenografia introduttiva agli interni, impregnati di sacralità e mistero, articolati in un pronao nel quale affacciano il santuario e le camere laterali, altrettanto riccamente adornati di sculture monumentali, affreschi e bassorilievi celebrativi.