Foto © I. Fornasiero
Un immenso arcipelago di circa 200 isole nel cuore del Mar Rosso, le Dahlak appaiono in tutta la loro desolata bellezza a largo di Massawa, come una miriade di gemme incastonate nel mare cristallino, che niente e nessuno è riuscito ad intaccare.
Davanti a loro hanno sfilato rotte commerciali millenarie, mercanti arabi ed eserciti ottomani, schiavitù e sfruttamento, aerei italiani, russi ed etiopi, guerre sanguinose, basi navali e centinaia di imbarcazioni militari inghiottite per sempre tra i fondali.
Ma loro sono rimaste lì, incontaminate e selvagge, apparentemente poco attraenti nella loro aridità morfologica, che tuttavia conserva uno degli ultimi paradisi naturalistici marini.
Solo alcune isole principali sono abitate da tempi antichissimi, tra cui Dahlak Kebir (Isola Grande), ricca di frastagliate baie coralline, sfruttate in passato per la raccolta delle perle che veniva affidata a schiavi-bambini. Qui alcune necropoli del X secolo, le cisterne scavate nel corallo madreporico per la raccolta dell’acqua piovana, le rovine di chiese cristiane del XIII secolo, qualche costruzione fatiscente e i relitti sottomarini del XX secolo, tra villaggi di pescatori che vivono altrimenti fuori dal tempo, abitati da 2500 Dahalik (Afar), fortemente attaccati alle proprie tradizioni e alla propria lingua.
Per il resto le Dahlak sono quanto di più sorprendente possa offrire la natura acquatica. Un mare dai colori indescrivibili, banchi corallini che attraggono innumerevoli specie tropicali, acquatiche e avifaunistiche. Razze, mante, delfini, squali, barracuda, i timidi e leggendari dugonghi e le tartarughe che si muovono in un habitat marino dove la presenza umana rimane del tutto marginale.
Ci si arriva con un sambuco o con i più moderni motoscafi da Massawa e non esiste alcuna struttura ricettiva ad accogliere, solo la natura più spettacolare del Mar Rosso, desolata sulla terraferma e incredibilmente variopinta in profondità, tutta da ammirare con maschera e boccaglio.
Visitare le Dahlak comporta lo stesso tipo di organizzazione pratico-logistica che comporterebbe una spedizione nel deserto, solo che qui si usano le barche al posto delle 4×4 e il deserto è una distesa azzurra dalle mille sfumature. Le oasi sono le isole, atolli di sabbia bianca disabitata, spezzata da qualche mangrovia o acacia, sotto un cielo rovente che ne vivifica i colori straordinari.
L’Isola di Sheik Said, la più vicina alla terraferma, isola sacra ai musulmani, dove facile sarà incontrare le tartarughe che depongono le uova e i suoi fanghi vengono ancora oggi utilizzati per la cura estetica della pelle; le isole di Madote, Dur Gaam e Dur Ghella, avvolte di stormi di uccelli migratori; l’isola scura di Dissei, antica terra vulcanica, unica isola a presentare dei rilievi rocciosi, tra i quali appaiono alcune abitazioni tradizionali e le reti da pesca a riposare sulle spiagge.
Un filo conduttore collega le isole, uno dei mari più belli e variopinti del mondo.