Siti UNESCO
Interesse culturale:
Axum (1980), la città di Axum fu capitale del potente Impero che governò sui popoli autoctoni tra il IV secolo a.C. e l’anno 1000 d.C., con un’età dell’oro inclusa tra il I secolo a.C. e il V secolo d.C. che lo portò a fiorenti commerci con l’India e l’Asia, alla conquista di parte della penisola araba, del Sudan e dell’Egitto meridionale, competendo in grandezza e glorie con l’Impero Romano e quello di Persia. Oggi rimangono a testimonianza delle glorie di Axum numerosi reperti e rovine architettoniche. Il parco di steli e obelischi, le tombe reali, le rovine del castello, tutti risalenti a un’epoca inclusa tra il I e il XII secolo d.C.
Fasil Ghebbi a Gondar (1979), nel 1635 l’Imperatore Fasilide stabilì la propria capitale a Gondar, centro in precedenza frequentato stagionalmente dai Negus che tuttavia non vi rimasero stanziali. Testimonianza di questa epoca storica sono le architetture ancora oggi sopravvissute, nonostante i numerosi saccheggi delle truppe arabo-musulmane. Esse rispecchiano influssi stilistici indo-arabi, e del barocco portoghese e gesuita, compagnia che fu attiva per quasi un secolo, a cavallo tra il XVI e il XVII secolo. Le architetture sono distribuite sul territorio circostante l’attuale città di Gondar, edificate tra XVI e il XVII secolo e comprendono edifici religiosi e civili: i palazzi imperiali risalenti a diverse epoche e imperatori, i bagni termali e numerose chiese e monasteri.
La città storica fortificata di Harar (2006), la città di Harar si trova a est dell’Etiopia, nella regione Harari, protetta dall’altopiano etiopico e elevata a 1880 metri di altitudine. Fondata tra il VII e l’XI secolo è considerata la quarta città santa dell’Islam. Roccaforte islamica del Corno d’Africa, rimase indipendente fino al 1887, quando passò sotto l’Impero Etiope di Menelik II. La città fortificata da un muro, comprende 82 moschee (3 risalenti al X secolo) e 102 santuari. Caratteristica è la sua architettura civile e il suo piano urbanistico che rispecchiano un unicum di architettura araba mediorientale e tradizione africana, su cui si sono innestati influssi indiani.
Paesaggio culturale dei Konso (2011), i vallaggi konso sono distribuiti su un’area di 23.000 ettari, arroccati su un altopiano arido e fortificati da mura a secco di pietra. Qui hanno conservato intatte le proprie tradizioni e usi ancestrali le popolazioni locali, in equilibrio con un ambiente considerato ostile, tramandandosi i segreti ingegneristici nella costruzione abitativa e nella coltivazione, e perpetuando la religione tradizionale incentrata sui riti funebri, di cui rimane testimonianza nelle sculture in legno (waga) e steli in pietra, dedicate all’universo degli spiriti dei morti.
Valle dell’Awash (1980), vera e propria “culla dell’umanità”, è uno dei più importanti siti paleontologici al mondo. E’ qui che nel 1974 sono stati rinvenuti 54 frammenti dello scheletro di Australopithecus Afarensis chiamato “Lucy”, che risale a 3,2 milioni di anni fa, il più antico trovato all’epoca, aprendo quindi nuove prospettive sulla storia dell’evoluzione umana.
Valle dell’Omo (1980), abitata ancora oggi da numerose popolazioni che mantengono intatte le proprie tradizioni, deve in realtà il suo inserimento tra i patrimoni dell’umanità per l’apporto fondamentale che ha fornito agli studi sull’evoluzione umana. Racchiusa tra le sponde del Lago Turkana a sud e la sponda occidentale del fiume Omo, la valle è ricca di resti fossili umani e animali, che hanno aggiunto numerosi dettagli allo studio dell’Homo Sapiens in Africa, in particolare dell’Homo Gracilis.
Chiese rupestri di Lalibela (1978), sono l’espressione straordinaria della devozione ortodossa etiope nel Medioevo, sorte dopo il declino dell’Impero di Axum quale risposta alla graduale diffusione dell’Islam nelle regioni confinanti. Interamente scolpite nella roccia in blocchi monoliti, si compongono di 11 chiese risalenti al XIII secolo, a comporre quello che ancora oggi è un luogo di pellegrinaggio e la “Nuova Gerusalemme” della Chiesa Etiope. Tra esse è San Giorgio, una delle più caratteristiche, a pianta cruciforme.
Tiya (1980), il misterioso sito di Tiya a sud di Addis Abeba, comprende un gruppo di 36 monoliti di varie misure, simili ai menhir mediterranei, scolpiti con simboli enigmatici e che ancora non è stato possibile datare con precisione, ma probabilmente espressione sacra di popoli proto-storici d’Etiopia.
Interesse ambientale:
Simien National Park (1978), su un’area montana settentrionale di 18.000 ettari, il parco offre un paesaggio straordinario dal punto di vista ambientale, risultato di milioni di anni di erosione, che hanno formato vette, crepacci e pendii scoscesi. Le sue vette che salgono fino a 4.500 metri di altitudine nel Monte Ras Dashen, accolgono alcune specie di flora e fauna rare, alcune delle quali non si trovano da nessuna altra parte al mondo: la rosa abyssinica, lo stambecco del Simien, il babbuino gelada e il lupo etiopico.
Architettura
Il patrimonio architettonico in Etiopia possiede un valore inestimabile, testimonianza storica di civiltà passate antichissime, e indissolubilmente legato allo studio dell’archeologia.
Se al momento non è ancora possibile datare con precisione il gruppo di menhir proto-storici scolpiti di Tiya, la più antica testimonianza architettonica databile con una certa approssimazione è il Tempio di Yeha, risalente all’VIII secolo a.C. che si compone di una torre di pietre squadrate a bugnato su solide fondamenta. Lo stile è di origine arabo-sabea, ereditato dal popolo pre-axumita di D’mt, che si installò nella zona del Tigray.
In epoca axumita la particolare tecnica monumentale celebrativa e religiosa, venne ereditata e seguita anche dai Regni successivi, divenendo caratteristica almeno fino al Medioevo.
In pietra monolitica erano le gigantesche stele di Axum, una delle quali probabilmente cadde subito dopo essere stata innalzata, a causa delle sue dimensioni colossali. In unici blocchi di pietra erano anche le tombe sotterranee e le prime chiese cristiane risalenti al IV/VI secolo d.C., quali il complesso di Debre Damo. Tuttavia la maggior parte delle abitazioni civili, dei palazzi e qualche chiesa, furono costruiti prevalentemente con blocchi di pietra alternata a tronchi di legno.
La tecnica monumentale monolitica, trovò la sua massima espressione in epoca medievale,sotto la Dinastia Zagwa, che dovendo fare i conti con la crescente diffusione dell’Islam, volle creare una “Nuova Gerusalemme d’Africa”, un luogo santo all’Ortodossia Etiope. Nacque il sito delle chiese rupestri di Lalibela, portato a termine tra il XII e il XIII secolo. Il complesso si sviluppa su un’area relativamente ridotta, in cui si concentrano ben 11 chiese, di cui le 6 costruite nella parte nord-occidentale sono sicuramente le più imponenti.
Alcune di esse sono concepite, secondo eredità axumite, come degli enormi blocchi monolitici, scavati nella roccia in profondità verticale e completamente staccati dalle pareti rocciose che li circondano sui lati.
La più imponente è la Bet Medhane Alem, più simile a un tempio greco, con volta a botte, circondata da 34 grandi pilastri rettangolari e sostenuta da 38 colonne. Le finestre in pietra sono decorate ognuna da una croce centrale.
Una galleria collega Bet Medhane Alem a un cortile dove sorgono altre tre chiese, di cui una dedicata alla Vergine, concepita con forme architettoniche cariche di simbologie e decorata di splendidi affreschi e intagli, oltre a conservare un bassorilievo raffinatissimo, raffigurante San Giorgio e il Drago.
Nella parte nord-occidentale, quella più venerata di tutte è sicuramente la Bet Golgotha, il cui ingresso è proibito alle donne. Qui sono conservati tra gli esempi più alti di arte cristiana dell’Etiopia, come le sculture dei santi nelle nicchie di pietra, la tomba del re Lalibela e alcuni oggetti ad esso appartenuti.
Nella zona sud-orientale sono conservate le chiese monolitiche più belle e raffinate di Lalibela.
I capolavori indiscussi sono i monoliti di Bet Amanuel e Bet Giyorgis, di cui la prima presenta numerosi influssi axumiti. La seconda si dice venne edificata dal re Lalibela a seguito della visita di San Giorgio in persona. Si presenta isolata dal resto delle chiese ed ha pianta a croce greca.
Capolavoro monumentale in epoca successiva è la città fortificata di Gondar, scelta dall’Imperatore Fasilide nel 1636, quale capitale del proprio regno e che trasformò nel giro di breve tempo in una città leggendaria, con i suoi lussuosi palazzi, i fasti e l’opulenza della corte.
La Cittadella Imperiale restituisce molto bene l’idea delle glorie passate di questa città mitica. Il complesso comprende numerosi palazzi e castelli, di cui quello di Fasilide, dal parapetto merlato e le torri a cupola, è il più antico e sfarzoso. Lo stile è un unicum di influssi indo-moreschi, ingegneria militare portoghese, barocco gesuita e elementi decorativi tipici della tradizione etiope, quali gli ornamenti in tufo rosso delle finestre.
All’interno della cittadella si conservano le rovine della sala dei banchetti, il Palazzo di Iyasu, la biblioteca di Yohannes I e la Casa dei Leoni (una venne fatta costruire da Selassié), dove venivano conservati dei leoni abissini. Risalenti all’epoca dell’Imperatore Bakaffa sono l’enorme sala dei banchetti, il bagno turco e il Castello di Mentewab.
Altri siti immancabili a Gondar sono il Mausoleo di Zobel, la chiesa di Debre Berhan Selassie, scampata alla distruzione grazie ad uno sciame d’api che attacco’ i dervisci, e il settecentesco complesso monumentale di Kuskuam.
L’antica città di Harar, roccaforte dell’Islam e considerata la quarta città più venerata dal popolo musulmano, è la testimonianza di civiltà parallele e multiculturali già presenti sul suolo etiope in epoca tardo-axumita. Si trova a est dell’Etiopia, nella regione Harari, protetta dall’altopiano etiopico e elevata a 1880 metri di altitudine. Fondata tra il VII e l’XI secolo, rimase indipendente fino al 1887, quando passò sotto l’Impero Etiope di Menelik II. Questo ha fatto sì che la sua architettura originaria si sia preservata intatta, a testimonianza di una cultura islamica antica insediatasi nel Corno d’Africa. La città fortificata da un muro, comprende 82 moschee (3 risalenti al X secolo) e 102 santuari. Caratteristiche sono le abitazioni civili, le botteghe e il suo piano urbanistico che rispecchiano un unicum di architettura araba mediorientale e tradizione africana, su cui si sono innestati influssi indiani in epoche più recenti, quali i pittoreschi ballatoi verandati. Alle porte delle città, la sera, si perpetua un’usanza antichissima che contribuisce ancor più a velare di misticismo Harar: gli anziani nutrono le iene che numerose accorrono all’ora del “banchetto”.
Riguardo all’architettura urbana del XIX e XX secolo, si può parlare di uno “stile Addis Abeba” vero e proprio. Molti edifici erano a pianta ovale o romboidale, segnando la transizione dalla forma circolare del tukul tradizionale amara, ancora presente tra le popolazioni rurali, all’edificio moderno. I materiali impiegati erano inizialmente argilla e paglia per i muri, secondo la tecnica tradizionale, sostituiti progressivamente dai mattoni in laterite e dal cemento, il legno per le intercapedini, le vetrate a ballatoio di influenza indo-araba, e la copertura in paglia, sostituita poi dall’ondulato moderno.
Tra le architetture tradizionali dei popoli del sud, particolarmente raffinati sono gli esempi di capanne del popolo Dorze, costituite di intercapedini in legno riempite di argilla non portante e interamente ricoperti da un elaborato e scultoreo tetto di fitta paglia, che scende fino al terreno, modellando in una sorta di cupola a veranda, all’altezza della porta di ingresso.
Una vera e propria architettura ingegneristica, si perpetua in seno alle abitazioni tradizionali del popolo Konso. Arroccati su colline brulle e inospitali, i loro villaggi sono circondati da muri/fortificazioni a secco di pietra, che hanno contribuito nel corso di 4 secoli a proteggere gli usi e costumi dei Konso dalle incursioni nemiche e le loro coltivazioni a terrazzamento. Qui si articolano le abitazioni, anche esse in pietra, che formano strette viuzze, secondo un piano urbanistico di tipo difensivo.
Arte tradizionale
L’arte tradizionale in Etiopia è indissolubilmente legata alla religione ortodossa.
Ogni chiesa etiope è decorata di pitture, sculture e manufatti d’arte orafa a sbalzo, che rappresentano la vita di Cristo, dei Santi, e i simboli della cristianità, resi con stili e prospettive stilizzate, proporzioni naïf e colori accessi, secondo l’antico canone iconografico della Chiesa Bizantina. L’influenza dell’arte sacra e delle icone o pitture murali bizantine, le più antiche ancora conservate tra le mura delle chiese rupestri di Lalibela,e tra gli esempi di epoca barocca di Gondar, si riscontra anche sullo stile contemporaneo.
Tra gli esponenti contemporanei un nome per tutti, Afewerk Tekle. Morto nel 2012, è stato l’artista più famoso e quotato dell’Africa intera. Famosi sono i suoi dipinti su tela di enormi dimensioni e i suoi ritratti, il cui stile si ispira alle antiche icone su legno e alle pitture murali a soggetto sacro.
Un discorso a parte meritano i bellissimi manoscritti, l’espressione più alta dell’arte etiope. Ancora oggi ci sono stati tramandati dei preziosissimi manoscritti miniati, corredati di immagini che fungevano da illustrazioni per i più incolti e rilegati finemente con tavolette di legno rivestite di pelle. Una di queste è una bibbia risalente al XII secolo e ritrovata tra i monasteri edificati sul Lago Tana. A causa dei saccheggi da parte dei musulmani e dei dervisci, una buona parte del patrimonio anteriore al XIV secolo è andato perduto.
Anche l’artigianato etiope ha una lunga tradizione e, se l’arte sacra è l’espressione di alcuni gruppi etnici di fede ortodossa, ogni etnia del paese ha i propri manufatti artigianali legati alla tradizione. Le materie prime a disposizione sono tante, dal legno all’oro, dal cuoio al corno, dai tessuti alla paglia, dalla ceramica all’argilla. Per esempio gli Harar sono famosi per le loro belle ceste, mentre il centro di lavorazione del legno è nell’ovest del paese, presso Jimma. I konso sono esperti lavoratori della lana, mentre i gurage del cotone, producendo i capi di abbigliamento tipici negli altipiani, sia femminili che maschili, finemente ricamati e rifiniti. Abili tessitori sono anche i Dorze, che fabbricano delle bellissime stoffe tradizionali in cotone e dei cappelli colorati.
Una vera e propria arte presso numerose popolazioni etiopi è la decorazione del corpo. La body art è una tradizione millenaria tra tutte le popolazioni che abitano la Valle dell’Omo e che ne perpetuano l’uso fino ai giorni d’oggi. Dalle scarificazioni dei Mursi, tra cui il famoso piattello labiale e le composizioni di cicatrici a rilievo, alle pitture del corpo e del viso dei Surma e dei Karo, fino alle scultoree acconciature degli Hamer, l’arte di decorarsi il corpo affonda le sue radici in usi e costumi ancestrali e richiede un abile savoir-faire.
Cinema
Contrariamente al teatro che vanta una lunga tradizione locale in lingua amarica, l’industria cinematografica non si è sviluppata in Etiopia e solo in tempi recenti si sono distinti alcuni registi di livello, tra cui Hailé Gerima che con il suo film Teza ha vinto il più prestigioso premio cinematografico africano al Fespaco di Ouagadougou nel 2009.
Letteratura
La letteratura etiope ha una tradizione lunga 2500 anni, che affonda le sue radici nelle iscrizioni ed epigrafi in lingua ge’ez.
A partire dal regno axumita comincia tuttavia una vera e propria produzione letteraria in ge’ez, con la prima traduzione della Bibbia dal greco. Lingua che continua ad essere utilizzata in letteratura anche con l’avvento dell’amarico a lingua ufficiale. Le origini della letteratura etiope si fonda indissolubilmente con i testi sacri cristiani e la produzione d’arte miniata dei manoscritti.
La redazione del Kebra Nagast, l’opera epica più importante per il popolo etiope, risale probabilmente, nella sua versione definitiva, al XIV secolo e racchiude in se versi ispirati alla storia, alla tradizione, alla religione e alla cultura etiope. Nel 1773 in Etiopia venne rinvenuta l’unica copia completa esistente del Libro di Enoch, tradotta in lingua ge’ez.
Per quanto riguarda la letteratura contemporanea, gli autori etiopi si sono sempre dovuti scontrare con la censura del governo del Derg e molti di essi hanno dovuto abbandonare il proprio paese. Al contrario, la vasta letteratura orale, tipica di tutta l’Africa, è sopravvissuta in Etiopia a tutte le epoche e tramandata fino ai giorni nostri sotto forma di favole, leggende, proverbi, indovinelli e canti.
Musica
La musica permea la vita di ogni etiope e ovunque nelle strade o nei taxi si sentiranno le tipiche sonorità etiopi. Una delle forme più tradizionali di musica, sono le improvvisazioni degli azmari con i loro mazenki (violini).
La tradizione vuole che fossero i cantastorie addetti a far divertire la corte, come dei giullari etiopi, ma anche a tramandare oralmente le gesta e le imprese dei regnanti. Oggi questa tradizione si è tramandata di generazione in generazione e ogni angolo di strada o ristorante, è frequentato da numerosi azmari itineranti che improvvisano le loro composizioni di fronte alla gente o cantando ai matrimoni.
Un’altra espressione musicale tipica e tradizionale è la musica sacra (aquaquam), che risale al VI secolo e viene accompagnata prevalentemente dal tamburo (kabaro) e da un sonaglio (tsinatseil).
Tra gli strumenti musicali più comuni sono la begenne (arpa) e il krar (lira a 5 o 6 corde) e i flauti di vario tipo.
Uno dei generi musicali di maggior successo oggi è la musica popolare amharica e il pop etiope contemporaneo, un’evoluzione e contaminazione dei generi tradizionali.
Tra i più famosi esponenti sono Aster Aweke, Ejigaheyehu Shibabaw (alias Gigi), Tewodros Kassahun (alias Teddy Afro), e Ali Bira, vere e proprie star in Etiopia.