Fitte foreste, savane e radure, spiagge deserte e coste selvagge, lagune disabitate, il Parco di Loango è uno degli ultimi Eden naturalistici in terra equatoriale, che racchiude un’incredibile teoria di ecosistemi, ove l’antropizzazione è rimasta del tutto marginale e gli animali selvatici vivono totalmente indisturbati.
Su una vasta area di 1550 km², nella Regione di Ogooué-Maritime il parco comprende un’impressionante varietà ambientale, tra costa ed entroterra, di ambienti acquatici, marini e lagunari, ecosistemi fluviali, piccole radure e savane che si aprono improvvise tra la fitta foresta a galleria o le giungle umide e sempreverdi. Tra questa vegetazione intricata e labirintica, alcune specie viventi hanno sviluppato la capacità di adattamento, rimanendo di piccola taglia, per potersi muovere più agilmente.
Il suo cuore è rappresentato geograficamente dalla laguna di Iguelà. Risalendo con una barca il suo corso è possibile spingersi in sicurezza al suo interno, nei dintorni di Akaka, per osservare una vita faunistica discreta e silenziosa, nascosta tra la fitta vegetazione di mangrovie e foresta pluviale. Tra il fogliame, i papiri, le liane umide, i tronchi aggrovigliati, fanno capolinea intere famiglie di gorilla e scimpanzé, elefanti di piccola taglia e un’infinità di uccelli, mentre i placidi coccodrilli nani scivolano nell’acqua in cerca di pesci.
Sulle piccole radure e le savane che spezzano di tanto in tanto la fitta vegetazione dell’entroterra, non di rado è possibile incontrare pantere, leopardi, branchi di facoceri, gazzelle e numerosi bufali. Ma uno degli spettacoli più suggestivi a Loango, si osserva sui litorali, sulle spiagge incontaminate e paradisiache di sabbia fine, dove le tartarughe liuto vengono a deporre le uova, mentre gli elefanti e gli ippopotami si spingono a cercare refrigerio direttamente nelle acque oceaniche.
E’ qui che vennero catturate le famose immagini del National Geographic, degli ippopotami che “surfano” sulle onde dell’Atlantico. Uno spettacolo surreale, in uno scenario marino attraversato da branchi di delfini, barracuda, balene megattere e orche.
Il Loango è probabilmente uno dei successi principali di una tanto contestata politica interna, che ha utilizzato lo slogan di “Verde Gabon” quale cavallo di battaglia, istituendo ben 13 aree protette e parchi nazionali, sul 15% del territorio, l’altro 85% è comunque ricoperto di aree vergini o semi-vergini, pressoché impenetrabili.
Alle estremità nord e sud del parco di Loango, si aprono due tra gli scenari naturalistici più spettacolari del litorale gabonese, la laguna di Fernan Vaz (chiamata anche Nkomi) e quella di Ndogo. E’ qui che le popolazioni dei Lumbu e degli Nkomi, si sono adattati e integrati a vivere tra la fauna selvatica e una vegetazione impraticabile, se non attraverso le vie navigabili fluviali e lagunari, in perfetta simbiosi, conoscendone i segreti, i pericoli e le potenzialità. Sono le terre selvagge degli antichi regni di Loango e Cama, raccontate dall’avventuriero meticcio Jean Michinet, unici approdi ove riuscirono ad arrivare gli esploratori portoghesi e i missionari europei, di cui rimane testimonianza la Missione Sainte-Anne, con la chiesa omonima progettata alla fine del XIX secolo da Eiffel.
Qui la popolazione si sposta su piccole piroghe in legno e vive principalmente di pesca, tra i villaggi tradizionali sparsi nella teoria acquatica di labirinti lagunari e piccoli isolotti, tra cui quello di Evengué, vero e proprio “orfanotrofio” per piccoli gorilla.
Sette Cama, Olende, Omboué, Sante-Anne, Mpivié, sono centri abitati e agglomerati di case che si perdono in un dedalo di gallerie verdi, pareti di bambù e volte di mangrovie, dove in passato gli avamposti negrieri europei e il commercio di avorio con i regni locali, non hanno arrestato la forza prorompente di una natura esplosiva e di una fauna selvatica endemica.