A nord del Monte Kenya e della regione centrale, il paesaggio cambia progressivamente, si trasforma in lande sempre più desolate e abitate da popolazioni rimaste sostanzialmente nomadi e fortemente identitarie. Un Kenya sconosciuto ai più, “alternativo”, lontano dalle frequentate piste dei grandi parchi nazionali del sud, o dalle spiagge paradisiache dell’Oceano Indiano, ma proprio per questo il Kenya più autentico e suggestivo.
La Riserva di Samburu (con le vicine Buffalo Springs e Shaba), prende il nome dall’omonima popolazione di origine nilotica, che migrò dalla Valle del Nilo assieme ai Masai nel XVI secolo, separandosi poi da essi che proseguirono il loro cammino verso sud. Non stupisce quindi, data la comune origine, della forte similitudine tra i due popoli semi-nomadi e una continuità negli usi e costumi, compresa la lingua maa.
A differenza dei grandi parchi del sud, nel Samburu la presenza turistica è sporadica e la fauna selvatica si muove ancora totalmente indisturbata. Il valore aggiunto dell’essere spesso completamente soli di fronte all’avvistamento degli “Special Five” e delle grandi mandrie di mammiferi o di carnivori, lo rendono uno dei parchi più “esclusivi” del Kenya, con l’altrettanta concentrazione faunistica del Masai Mara o dell’Amboseli, e una varietà paesaggistica simile al Tzavo. Acacie, palme dum, verdi vallate o savane brulle, colline e montagne, fiumi e antichi vulcani, compongono uno dei paesaggi più suggestivi del Kenya. Geograficamente può essere considerato la porta di entrata verso le sconfinate terre bruciate dal sole e dalla siccità del nord, abitate sporadicamente da popolazioni di pastori nomadi, che inspiegabilmente, scelsero queste distese così inospitali, quale loro dimora. Ma probabilmente la risposta risiede proprio nel fascino della desolazione ambientale, che ha reso questi popoli con il loro spirito di adattamento, i soli depositari dei segreti di una vita al limite dell’essenziale.
La traversata desertica tra la Riserva di Samburu e il Lago Turkana è una delle esperienze più affascinanti ed emozionanti che il Kenya possa offrire, scandita da immense distese desolate, sporadicamente abitate da tribù e accampamenti, rimasti ai confini della realtà.
Uno dei primi incontri è con le donne Samburu, riccamente adornate di meravigliose collane in perline e cuoio, o gli accampamenti “militari” (manyatta) di guerrieri, con i loro splendidi addobbi e le scarificazioni tribali, e le loro suggestive danze ipnotiche, tra le capanne di sterco e fango, le mandrie di zebù, in uno scenario surreale fatto di polvere e acacie.
Più a nord si aprono i deserti di Kaisut e di Chalbi, interrotti solo dalla miracolosa oasi tropicale montagnosa del Parco Marsabit, vero e proprio carrefour di popolazioni nomadi musulmane, in prevalenza di origine cuscitica, che si spostano continuamente con le proprie mandrie di dromedari e capre, alla ricerca di acqua, pascoli e provviste. Le carovane di dromedari dei Borana, con le loro stoffe e perline coloratissime, gli accampamenti gob dei Rendille, i più prossimi alla cultura samburu e masai, con i loro caratteristici collier colorati e le ingegneristiche capanne di stuoie e pelli.
Inoltrandosi nelle distese salate del Chalbi, facile sarà incontrare i clan di pastori Gabbra, di origine Oromo, coraggiosi abitanti di una delle zone più desertiche del Kenya, tanto inospitale la loro terra quanto ospitale la loro accoglienza.
Man mano che ci si avvicina alla regione del lago Turkana, il paesaggio diventa più sassoso e vulcanico, gli scenari si puntellano di piccole capanne circolari in legno, pelli e foglie di palma dum, abitate dall’antico popolo nilotico dei Turkana. Rimasto animista, immediatamente riconoscibile esteticamente dai bellissimi cerchi di strette collane rigide e dagli orecchini a forma di foglia, veniva in passato considerato il popolo di guerrieri nomadi più spietato della regione. Oggi molti di essi si sono convertiti alla pesca, a causa di un progressivo inaridimento della terra, professione che condividono sulle acque alcaline del lago, con la minuscola comunità di pescatori El Molo, che affrontano le burrascose tempeste con le piccole zattere di tronchi dum.
Ridiscendendo verso sud-ovest, in direzione del Lago Baringo e del paradisiaco Lago Nakuru, si incontreranno i clan della popolazione Pokot, gruppo nilotico di antica origine, che la leggenda racconta come unici vincitori sugli spietati guerrieri Turkana e Masai. Oggi sono dediti alla pastorizia e all’agricoltura e vivono in caratteristiche capanne circolari di legno e tetto di paglia. Le donne usano addobbarsi con delle bellissime collane discoidali e degli enormi orecchini circolari.