SITI UNESCO
I siti UNESCO libici sono 5:
- Sito archeologico di Leptis Magna (1982), una delle più grandiose e stupefacenti città dell’Impero Romano. Nasce come approdo commerciale fenicio e poi punico. La sua data di fondazione (incerta) è databile tra l’XI e il VII sec. A.C.
- Sito archeologico di Sabratha (1982), città romana estremamente prospera durante il II sec. D.C. con un teatro strepitoso. Sabratha fu precedentemente centro punico di commerci e scambi.
- Sito archeologico di Cirene (1982), Cirene fu una delle principali città del mondo ellenico e successivamente un importante centro romano e una grande capitale dell’Impero fino al terremoto del 365.
- Siti rupestri di Tadrart Acacus (1985), ai confini del Tassil N’Ajjer in Algeria, un’area montuosa del Sahara situata nella parte sud-ovest della Libia, vicino alla città di Ghat. Il sito è famoso per la l’arte rupestre preistorica che è stata ritrovata in diversi luoghi all’interno di caverne e ripari sotto le rocce.
- Antico villaggio di Ghadames (1986), una città-oasi leggendaria della Libia occidentale, situata nei pressi del confine con l’Algeria e la Tunisia, a circa 600 km da Tripoli. Interessantissimo esempio architettonico oltre che luogo mitologico e d’incontro delle rotte sahariane.
ARTE RUPESTRE
Premesso che la presenza umana in tutto l’attuale deserto del Sahara è testimoniata dal rinvenimento di reperti in pietra risalenti al Paleolitico e al Neolitico e da una incredibile produzione di arte rupestre (la più copiosa e preziosa al mondo) che ci parla dell’evoluzione dell’uomo, delle specie faunistiche e dei cambiamenti climatici nel corso dei millenni; la Libia costituisce a questo riguardo un Paese estremamente interessante.
In Libia, nelle falesie del Tadrart Acacus, del Messek e del Jebel Aweinat, quasi al confine con l’Egitto veri esempi di arte rupestre presente ovunque esistano pareti rocciose.
- Il Tadrart Acacus è una catena di montagne, lunga 250 km e profonda non più di 50. Situata al confine tra Libia e Algeria, presenta una certa continuità morfologica con il massiccio del Tassili e, insieme all’altopiano del Messak, la regione dove tra i 10mila e i 5mila anni fa si sviluppò una grande civiltà. Si tratta di territori difficilmente accessibili, tanto che questo il Tadrart Acacus è stato pressoché sconosciuto fino alle prime spedizioni dell’archeologo Fabrizio Mori compiute tra il 1955 e il 1964. E’ stato così rinvenuto un maestoso patrimonio pittorico che va dal 10mila a.C e suddivisibile in quattro cicli artistici principali: il periodo della Grande Fauna Selvaggia, caratterizzato da raffigurazioni di elefanti, rinoceronti, ippopotami, giraffe, bovidi poi estinti come il bubalus dalle lunghe corna; la fase delle Teste Rotonde che rappresenta la prima manifestazione pittorica dei cacciatori; la fese Pastorale più concreta della precedente e meno intenta a rappresentare intenti magico- religiosi; la fase del cavallo e del cammello che illustra l’utilizzo di questi animali.
- Il Messak è caratterizzato dalla presenza di uno straordinario zoo preistorico inciso sulle pareti di pietra e lungo i fianchi degli uidian, ossia letto di un torrente, quasi un canyon o canalone in cui scorre (o scorreva) un corso d’acqua a carattere non perenne. L’area archeologica del Messak, una delle più interessanti di tutto il Sahara, è caratterizzata dalla presenza di graffiti. Qui non esistono pitture. Il motivo è da ricercarci nella natura geologica del luogo. Questo luogo costituisce un eccellente laboratorio per l’esplorazione delle dinamiche del rapporto tra società umane e fluttuazioni climatiche, dal Pleistocene ai giorni nostri.
- Jebel Aweinat è una montagna che si trova nella parte sud dell’altopiano del Golf Kebirnel sud del deserto libico al confine fra Libia, Egitto (qui è famosissima la “Grotta dei nuotatori” e Sudan. Nel Gilf Kebir si trova anche il cratere Kebira, alto 950 metri e formatosi oltre 50 milioni di anni fa in seguito alla caduta di un meteorite. Il Gilf Kebir è conosciuto soprattutto per le sue incisioni rupestri preistoriche.
ARCHITETTURA
L’architettura libica è antichissima, così come i suoi siti archeologici precedentemente menzionati e che meriterebbero capitoli e capitoli di libri per essere accuratamente documentati.
- Leptis Magna, conosciuta anche come Lectis Magna in latino e Lepcis Magna nella pronuncia locale, detta anche Lpqy, Neapolis, Lebida o Lebda, fu fondata dai Fenici probabilmente nel 1100 a.c. Costituiva un punto nodale per i traffici con il resto dell’Africa. Sorgeva infatti su un promontorio poco elevato nei pressi del fiume Wadi Lebda, quindi con acqua a disposizione e indispensabile passaggio fluviale. Successivamente sotto il dominio cartaginese, dalla fine della III Guerra Punica nel 146 a.c., divenne parte della Repubblica Romana. Leptis Magna rimase abbastanza indipendente fino al regno dell’imperatore Tiberio, quando la città venne incorporata nell’Impero, come parte della Provincia d’Africa. Divenne allora uno dei più grandi centri commerciali africani. Leptis ebbe il suo momento di massimo splendore quando divenne imperatore Lucio Settimio Severo che la ingrandì, l’abbellì e ne fece la terza città dell’Africa, in grado di rivaleggiare con Cartagine e Alessandria. Durante la crisi del III sec., la città perse la propria importanza, finchè verso la metà del IV sec. venne abbandonata. Ebbe un periodo di rinascitaa partire dal regno dell’imperatore Teodosio I, ma nel 439, Leptis Magna cadde sotto il controllo dei Vandali. La città, pur ridotta a un piccolo insediamento, fu abitata fino al X sec. d.C.. La sabbia ricoprì poi l’intera area urbana. Ciò permise la protezione dei monumenti romani crollati (anche a causa di terremoti). I primi scavi archeologici risalgono alla fine del 1600 e agli inzi del secolo successivo, quando Claude Lemaire, console di Francia a Tripoli, spedì in Francia centinaia di colonne e lastre marmoree. Tra le due Guerre invece (nel ventennio 1920-1940) furono gli archeologi italiani a rinvenire moltissimi tesori della città romana. Leptis constiuice, non a caso, a tutti’oggi, uno dei meriti maggiori dell’archeologia iatlaian nel suo complesso. I principali monumenti di Lepstis Magna sono: il teatro di impianto augusteo; un mercato del I secolo a.c., modificato sotto Tiberio, ma che risale all’VIII sec. a.c.; le Terme adrianee; l’Arco di Severo, l’arco del 37 in onore di Tiberio, un altro arco quadrifronte di Traiano; il Nuovo Foro; un ippodromo; un anfiteatro; un circo; una basilica; tre templi;un’esedra monumentale; la curia; il calcidico (forse mercato per particolari merci); i modiglioni di ormeggio alle banchine del porto; resti di un tempietto dorico; resti del tempio di Giove Dolicheno; resti di un tempietto dorico; resti del tempio di Giove Dolicheno; resti del faro; resti di case e ville; l’anfiteatro; ruderi di mausolei; le terme extraurbane; due fortezze sulle colline, per la difesa del limes tripolitanus.
- Sabratha: nacque da un emporio fenicio verso la prima metà del I millennio a.c. Insieme a Oea (Tripoli) e Leptis Magna è una delle tre città che hanno dato il nome alla Tripolitania. Per questa sua posizione strategica, Sabratha conobbe un rapido sviluppo e cadde ben presto sotto il controllo di Cartagine. E’ incerto se, come Leptis, passasse dalla parte di Roma durante la guerra di Giugurta. Fu solo nel 46 a.c. che, avendo Cesare posto fine al regno di Numidia, entrò a far parte della provincia romana d’Africa. Dopo un periodo di influenza greca, la città subì gravi danni a causa di un terremoto (attorno al 65-70 dc). Già fiorente al tempo di Augusto, come provano le monete di questo periodo e le prime costruzioni del Foro, raggiunse una certa prosperità durante la II metà del II sec. d.C. La maggior parte della città romana fu però distrutta da terremoti nel 306-10 d.C. e nel 365 d.c. Conquistata dai Vandali, perse se le mura. La città conobbe un altro breve periodo di rinascita soltanto con la riconquista bizantina. A Giustiniano si deve la costruzione della basilica dal magnifico mosaico pavimentale.Poi, con le invasioni arabe del sec. VII e dell’XI, la città fu del tutto abbandonata, a vantaggio di Oea.
- I suoi principali siti sono: il tempio di Iside; la basilica (greca-berbara) di Apuleius di Madora (Basilica del tribunale); il tempio di Serapide; il mausoleo di Bes; la basilica di Giustiniano; il foro; il teatro; le terme accanto alla spiaggia; il tempio di padre libero; il Capitolium; la Curia; il tempio di Antonino; l’anfiteatro; la casa del Peristilio. Il monumento più importante del sito è però, senza dubbio, il teatro romano, costruito in terreno pianeggiante nel quartiere orientale tra la fine del II sec. e il principio del III, e cioè tra l’età degli Antonini e quella di Severo.
- Cirene: fu una colonia greca e poi romana, situata sulla costa mediterranea, vicino all’odierna cittadina di Shahat, in Libia orientale, nel distretto di al-Jabal al-Akhdar. Il primo insediamento avvenne sull’acropoli, circondata da mura poligonali. Fu fondata nell 630 a.C. dai dori provenienti da Tera (Santorini), che si dicevano discendenti di Euristeo Euristeo, personaggio della mitologia greca, figlio di Stenelo e Nicippe. Erodoto scrisse che gli abitanti di Thera, spinti da ragioni demografiche e da una siccità, dopo aver consultato l’oracolo di Delfi, vennero in Africa alla ricerca di un luogo con una fonte. Trovarono così la fonte della ninfa Chirene (Cirene) a cui dedicarono la città. Nel III secolo a.c. vi fiorirono i cosiddetti filosofi cirenaici, tra cui ebbe un ruolo preminente Aristippo, e così la città fu soprannominata “Atene d’Africa”. Dopo il periodo di protettorato romano nel II secolo a.c. tornò ai Tolomei finché finì in eredità ai Romani come Pentapoli cirenaica (96 a.C.). Sotto Traiano la zona nord est del santuario fu occupata dalle terme e la città su abbellita e ingrandita. A Cirene visse anche una numerosa comunità ebraica. Si ha infatti notizia di una rivolta a scatenata da un cirenaico ebreo, di nome Lukuas-Andreas, che si credeva il Messia e devastò la città nel 117. Fu Adriano a portare la pace ad abbellire la città cui seguì un periodo di benessere e fioritura delle arti. Cirene divenne fu famosa anche per l’allevamento di cavalli e come punto terminale delle rotte commerciali verso l’interno dell’Africa, luogo di provenienza di schiavi, pelli e metalli. Per ricchezza Cirene gareggiava con AteneDi Cirene furono i filosofi Aristippo e Teodoro della scuola edonistica. Con la riforma amministrativa di Diocleziano del 305 d.c. la Cirenaica venne separata da Creta e, insieme a Egitto e Marmarica, fece parte della diocesi d’Oriente. Cirene fu teatro di scontri tra pagani e cristiani e fu devastata da un terribile terremoto che si abbatté poi su tutta la Cirenaica. Nel 410 la città fu poi definitivamente abbandonata ai nomadi laguatani e non fu più riconquistata dall’impero romano e cadde nell’oblio.
Un capitolo a sé meritano gli edifici berberi.
- Particolarmente esemplificativo ed interessante, a questo proposito, è il Qsar al-Hai è un “castello berbero” a trattura circolare, costruito nel XIII secolo da Abdallah Abu Jatla sulla rotta Tripoli-‘Aziziya-Al Jawf a circa 130 km da Tripoli. Si tratta in realtà di un edificio creato con lo scopo di immagazzinare il raccolto, anche se non è escluso che ci abbiano vissuto numerose famiglie. Nelle alte mura che circondano il cortile sono ricavate state ricavate 114 cellette con funzione di magazzino. E’ stato ipotizzato che il numero 114 costituisca un richiamo simbolico alle Sura del Corano. Il livello più basso della fortezza, che si trova parzialmente interrato, veniva utilizzato per conservare l’olio, mentre i livelli superiori servivano principalmente per conservare prodotti come l’orzo e grano.
- Altro esempio sono rovine del villaggio di pietra di Tarmeisa, appollaiato su uno stretto affioramento roccioso che domina il Sahel al-Jefara e costituisce uno spettacolare insediamento berbero del Jebel Nafusa. Il villaggio è un susseguirsi di porticine e passaggi molto pittoreschi, tra cui i resti di un frantoio e di una camera nuziale con ancora tracce di bassorilievi.
- Sempre berbere le case troglodite di Gharyan. Si tratta di case interamente scavate nella roccia per questo in grado di mantenere la temperatura costante sia dette che d’inverno. Da un cortile scavato nel terreno per una profondità variabile dai 7 a agli 9 metri, si accede all’abitazione caratterizzata dalla presenza di una o più stanze e magazzini.
Un capitolo ancora a parte: Ghadames
- Oasi di Ghadames, Cydamus per i romani. Le prime notizie sulla città risalgono al 19 a.C., quando fu occupata dalle legioni di Lucio Cornelio Balbo e divenne uno stabile avamposto fortificato contro i nomadi Getuli e i Garamanti. Ghadames è insieme un’oasi del deserto libico e antica città carovaniera, splendidamente conservata nel cuore del Sahara. Con i suoi stretti vicoli porticati e le dimore tradizionali di gesso e argilla essiccata, conserva tutt’oggi un’atmosfera magica. Ghadames fu uno dei più importanti snodi commerciali tra le rotte transahariane, grazie alla sua posizione strategica e alla ricchezza di acqua. L’antica oasi che una leggenda vuole fondata attorno al pozzo Ain al-Faras, sgorgato per caso al passaggio dello zoccolo di una cavalla, fu anche avamposto bizantino, conquista araba e rappresentanza di genti Tuareg. Oggi il suo centro storico è interamente spopolato, ma conserva in modo esemplare le sue antiche glorie.
Architettura musulmana
- La moschea di Gurgie e la moschea Karamanli, distante poche centinaia di metri l’una dall’altra, sono le più importanti moschee della medina di Tripoli. Entrambe presentano interni riccamente decorati, con piastrelle in maiolica colorata, stucchi e intagli lignei. La vista della Moschea Gurgi, l’arco romano di marco Aurelio e la moschea di Si Abdel Wahab costituiscono uno dei più suggestivi angoli di Tripoli.
L’architettura coloniale italiana
- Gli edifici italiani, a distanza di decenni, continuano a caratterizzare il volto del centro di Tripoli. Le principali iniziative del governo italiano in campo architettonico sono state effettuate sotto i governatori Giuseppe Volpi di Misurata (1921-1925) e Italo Balbo (1934-1940).
- Due sono i punti maggiormente rappresentativi della città: la vecchia Piazza Italia (oggi Piazza dei Martiri) e l’antica piazza della Cattedrale (ora Piazza Algeria). La prima è la principale piazza di Tripoli. Edificata a fianco del Castello, su di essa sorgono l’ex edificio del Banco di Roma e la sede degli uffici governativi coloniali, oggi in restauro. Nella seconda, si affacciano l’edificio del Municipio e delle Poste e telegrafi e la Cattedrale italiana (trasformata sotto Gheddafi in una moschea).
- Anche l’ex Corso Vittorio Emanuele III (oggi Sharia al Estiqal) e la vecchia piazza IV Novembre, in direzione del quartiere della Dahra sono esemplificative dell’architettura italiana. Due sono gli edifici che ancora ricordano la presenza italiana e il periodo di Balbo: l’albergo Uaddan (a fianco dell’odierna Ambasciata italiana) e la piccola chiesa di San Francesco, oggi sede del Vicariato apostolico. Entrambe sono opere dell’architetto Di Fausto. L’hotel Uaddan, recentemente restaurato, è considerato ancora oggi uno degli alberghi più eleganti della città.
ARTE TRADIZIONALE
- In Libia la tradizione artistica riguarda soprattutto l’artigianato e, in particolare, la gioielleria sia di tradizione berbera che tuareg. Nella Medina di Tripoli si trovano numerose gioiellerie e negozi che vendono oggetti in argento come grossi bracciali, croci, ciondoli e anelli. Così come monili in oro, a caratura diversa.
- Ghadames è nota invece per le sue tradizionali babbucce, ma anche per le collane di perline e i braccialetti.
- I tappeti, soprattutto di traduzione berbera, sono altri oggetti caratteristici dell’arte tradizionale libica.
- Nelle regioni desertiche un’arte millenaria è quella della lavorazione della pelle e della lana del cammello o della capra. Grazie a questa antica maestria nomade carovaniera, i tuareg realizzano, borse, bisacce, selle, cinture, ma anche, ornamenti, cofanetti portaoggetti, e oggigiorno souvenir. Riconosciuti come “esperti del cuoio”, sono abili nella anche produzione di ornamenti per le tende, cuscini, stuoie e paramenti di frange per i dromedari. La fantasia dei tuareg spazia in una moltitudine di oggetti di cuoio colorato, tra i più caratteristici di tutto il Sahara.
Per quanto riguarda l’arte contemporanea, stanno emergendo giovani artisti libici. In particolare al femminile, grazie alla presenza di un gruppo di giovani calligrafe, pittrici e fotografe che usano il colore e la fantasia per raccontare un Paese ancora instabile, che ha vissuto momenti molto dolorosi e che vive in prima la storia dei migranti.
CINEMA
- Indipendente dal 1951, la Libia ha dovuto attendere circa un ventennio affinché si affermasse, con successo piuttosto scarso e discontinuo in realtà, una propria cinematografia. Durante gli anni dell’occupazione italiana, infatti, il cinema libico era totalmente dipendente della politica culturale italiana, del tutto disinteressata agli sviluppi del cinema locale. In seguito, l’isolamento economico e politico a cui è stata sottoposta la Libia, a causa dell’embargo internazionale, attuato dal 1992 per isolare il colonnello Gheddafi, ha inevitabilmente influito sull’evoluzione del cinema nazionale. È solo comunque dagli anni Sessanta che sono stati prodotti i primi documentari per illustrare alcuni momenti della lotta al dominio coloniale. Nel 1971 è stata istituita la Direzione della produzione cinematografica e nel 1973 è nato l’Organismo generale del cinema con il compito di controllare le sale, diffondere i film esteri e produrre opere nazionali. Tra i pionieri del cinema libico: Ahmad Attukhi (conosciuto anche come El Toukhi) (Intifāḍat ša῾b, 1970, La rivolta di un popolo), al-Hadi Rashid (al-Bayt al-ğadīd, 1970, La nuova casa; No!, 1985), Abdallah Rezzoug (Quand le destin devient cruel, 1972), Yusuf Sha῾ban (al-Ṭarīq, 1973, La strada). Tra la fine degli anni Settanta e la metà degli anni Ottanta sono stati realizzati due dei film libici più importanti, e cioè Ma῾rakat Taġrifit (1979, La battaglia di Taghrifit) di Khalid Mustafa (conosciuto anche come Khaled Khachim) e Mahmud Ayad Dariza (conosciuto anche come Mohamed Ayad Driza), che rievoca un episodio della lotta al colonialismo italiano, e al-Šaẓiyya (1984, La scheggia) di Muhammad Ali al-Firjani (conosciuto anche come al-Farjani), primo film realizzato completamente in Libia. Il film, tratto dall’omonimo racconto dello scrittore libico I. al-Kawnī, narra la storia di due uomini che attraversano il deserto disseminato di mine rimaste inesplose dalla Seconda guerra mondiale. Degli anni Novanta sono i due lavori visionari di Abdu Allah al-Zarruk: Ma῾zūfat al-maṭar (1992, La melodia della pioggia), ritratto di una ricca donna borghese e di un intellettuale senza soldi, e Avis aux personnes concernées (1993), nel quale sono analizzati conflitti familiari e sociali. Un contributo rilevante proviene da Mohamed Mesmari (La chaise, 1997) e Salah Eddine Gueder (Le comportement du tiers du corps, 1998), autori di due cortometraggi entrambi caratterizzati da un elemento politico-surreale. Infine, un altro regista da segnalare è Mustafa al-Aqqad, di origine siriana, che accanto al film sulle origini dell’Islam, al-Risāla (1975, Il messaggio), ha realizzato il kolossal internazionale ῾Umar al-Muh̠tār: al-Ṣah̠rā᾽ ‒ Omar Mukhtar: Lion of the desert (1980) con Anthony Quinn protagonista. Il film, che non è mai stato distribuito in Italia, racconta le vicende di ῾Umar al-Muh̠tār, capo della resistenza libica in lotta contro la penetrazione militare italiana. (Fonte, “Enciclopedia del cinema 2003”, non esistono fonti più precise e aggiornate).
LETTERATURA
- La letteratura dei paesi del Maghreb presenta caratteristiche simili, soprattutto legate a contesti storici e culturali simili come la colonizzazione. La letteratura libica, in particolare, è stata storicamente molto politicizzata. Durante gli anni Sessanta in Libia si afferma la novella che mette in risalto i problemi sociali causati dalle trasformazioni politiche e sociali. A metà degli anni Settanta, il nuovo governo dà vita a un’unica casa editrice e agli autori viene chiesto di scrivere a sostegno delle autorità. Coloro che si rifiutano vengono imprigionati, sono costretti a emigrare o smettono di scrivere. Autori come Kamel Maghur e Ahmed Fagih che avevano dominato il panorama culturale dei decenni precedenti continuano a essere la fonte della maggior parte della produzione letteraria. Le leggi sulla censura vengono poi allentate all’inizio degli anni Novanta, ma non abolite. Un parziale dissenso viene infatti espresso nella letteratura contemporanea pubblicata in Libia, ma i libri vengono talvolta censurati. Gli scrittori libici riconosciuti a livello internazionale sono: Laila Neihoum, Najwa BinShetwan e Maryam Salama. Gli scrittori emigrati hanno contribuito in modo significativo alla diffusione della letteratura libica, e includono Ibrahim Al-Kouni, Ahmad Al-Faqih e Sadeq al-Neihum. Tra i romanzi libici del XXI secolo che hanno ottenuto vari riconoscimenti internazionali, la storia di un bambino di nove anni che vive a Tripoli (bloccato tra un padre le cui attività clandestine anti-Gheddafi comportano perquisizioni e una vulnerabile giovane madre alcolizzata) dal titolo “Nessuno al mondo” dello scrittore Hisham Matar.
MUSICA
Non si può parlare di vera e propria tradizione musicale libica. La musica e le danze popolari fanno, infatti, riferimento più in generale alla cultura tuareg e berbera diffusa in tutto il Nord Africa.
Tra gli strumenti musicali, quelli più utilizzati sono: zokra (una sorta di cornamusa), flauti, tamburelli, l’ out (una specie di liuto) e il darbuka, un tamburo a forma di calice.
Tra gli artisti contemporanei, famoso è Ahmed Fakroun (1953), un cantante e cantautore di Bengasi, pioniere della moderna musica araba mondiale. Canta in arabo usando strumenti musicali occidentali.
Anche il reggae è molto seguito in Libia. Punto di riferimento, da questo punto di vista, è Ibrahim Hesnawi, nato a Tripoli nel 1954 e che cominciò ad appassionarsi di musica durante l’adolescenza. Influenzato da Jimi Hendrix, dal rock e dal blues, ma anche molto affascinato dalla tradizione musicale libica, nel 1975 fu folgorato da un disco di Bob Marley.
In Libia il reggae risulta piuttosto familiare anche perché simile al ritmo tradizionale legato all’utilizzo della darbuka. Dal reggae Hesnawi ha anche mutato il messaggio di pace, amore, libertà, lotta all’oppressione. Hesnawi canta per lo più in arabo libico, ma anche in inglese.
Testo a cura di Paola Scaccabarozzi