Un’immensa distesa di sabbie dorate e dune monumentali ricopre la regione sahariana a sud-ovest della Libia. E’ il cuore dell’antica terra dei popoli Garamanti che prosegue più a meridione addentrandosi nel Fezzan sud-occidentale, patria dei clan tuareg. Qui appaiono improvvise delle vere e proprie opere d’arte della natura: i sorprendenti laghi salati di Ubari, lambiti più a sud dalle dune scolpite dal vento di Murzuq e a sud-ovest dalle bizzarre conformazioni di arenaria della regione frontaliera del Jebel Acacus che a loro volta custodiscono l’unica opera d’arte compiuta dall’uomo, il più cospicuo patrimonio di pitture ed incisioni rupestri del Sahara. Attraversando in direzione sud-ovest le interminabili e desolate lande desertiche libiche, è tanto lo stupore di ritrovarsi improvvisamente di fronte allo scenario offerto dai Laghi salati di Ubari. Siamo nel cuore della regione abitata in antichità dai popoli Garamanti, che ospitava una decina di vasti specchi d’acqua, prosciugatisi per la forte evaporazione, e di cui oggi ne rimangono quattro principali, ad incantare i viaggiatori come gemme preziose. Incastonati da cordoni di dune, alcune delle quali vertiginose, e bordati di verdi palmeti, i laghi creano un contrasto di colori di indescrivibile bellezza, tra l’ocra della sabbia, il verde della vegetazione e l’azzurro dell’acqua salata, su cui si riflette il cielo limpido e il paesaggio circostante. Mavo, Gebraoun, Umm al-Maa e Mandara, sono delle inaspettate oasi paradisiache nel cuore della regione desertica più desolata del Sahara. Dall’alto delle dune lo spettacolo che se ne gode è incredibile, soprattutto al tramonto, che ne accende di luce infuocata il contrasto di colori. Dirigendosi più a sud si penetra nella vasta area dell’Idehan Murzuq, un vero e proprio mare di sabbia modellato dal vento, che si rapprende in monumentali dune aguzze, dalle forme perfette. Come gigantesche sculture naturali, quelle di Murzuq sono tra le più scenografiche quinte sabbiose che gli agenti atmosferici abbiano creato, con sommità che raggiungono i 300 metri di altezza e di cui non se ne vede la fine. Qui è solo il rimbombo del vento che smuove lo strato più superficiale della sabbia a udirsi, simile al fragore di un temporale in arrivo che fende di tuoni l’atmosfera. Ma è al confine con l’Algeria che il Sahara libico conserva un’immensa opera d’arte a cielo aperto, questa volta creata dall’uomo migliaia di anni fa. Siamo tra gli anfratti rocciosi e le conformazioni di arenaria erosa dal vento del Jebel Acacus, che emergono dalle sabbie circostanti e si elevano al di sopra di antichi wadi un tempo fertili ed ora inesorabilmente prosciugati e inghiottiti dal deserto. Qui sono conservati centinaia di siti di arte rupestre, alcuni dei quali risalenti ad almeno 10.000 anni or sono. Assieme alle incisioni antichissime del vicino Wadi Methkandoush e agli esemplari del Tadrart Rouge e del Tassili N’Ajjer, questi due in territorio algerino, costituiscono il più vasto e prezioso patrimonio archeologico di arte rupestre del mondo, concentrato nel raggio di qualche centinaio di km². Un vero e proprio museo en plein air, nascosto in anfratti e pareti rocciose, tra paesaggi lunari di arenarie erose dagli agenti atmosferici, inframmezzate da dune di sabbia che si aggrappano a canyon e pinnacoli dalle forme surreali. Nel Jebel Acacus, tutte le epoche e forme stilistiche, in cui viene oggi comunemente inventariata l’arte rupestre, sono presenti, abbracciando circa 10.000 anni di storia dell’umanità: dalle più antiche raffigurazioni di grandi animali selvatici, al periodo cosiddetto delle “teste rotonde”, dal periodo intermedio dei bovini fino alle più recenti rappresentazioni di cavalli e cammelli. Molte le iconografie rappresentate con grande realismo, dalle scene erotiche, a quelle nuziali, da giraffe ed elefanti resi con dovizia di particolari, a scene di caccia e danze tribali, con figure antropomorfe portatrici di maschere.