Foto © A. Paolini
L’antica storia di Djenné risale al 250 a.C. e affonda le proprie radici in quello che viene considerato il primo insediamento urbano di tutta l’Africa Occidentale, di cui rimangono le tracce a Djene-Jeno. La leggenda vuole che il sito venisse abbandonato improvvisamente intorno all’anno 1000, a causa degli spiriti maligni, delle mosche tze-tze e delle inondazioni del fiume Bani che lo trasformarono in un’isola.
La costruzione della nuova Djenné, a pochi chilometri dalle antiche rovine, avvenne con una cerimonia sacrificale animista che prevedeva il seppellimento di una vergine Bozo ancora viva, per ottenere i buoni auspici degli spiriti (la tomba di Pama Kayamtao). Ma il destino spirituale di Djenné dovette presto cambiare sotto l’influenza delle rotte commerciali transahariane dell’oro e dell’islamizzazione che vide il palazzo reale di Koї Komboro trasformarsi in moschea nel 1468, portando la città a diventare il più importante centro di cultura islamica, assieme a Timbuktu, considerata la sua “città gemella”. Perla architettonica che ne caratterizza il tessuto urbano antico, è la celebre moschea, dichiarata Patrimonio Unesco, la più grande realizzazione al mondo in banco, il mattone di fango essiccato di cui i Djénnénké sono veri e propri maestri.
Abbandonata nel XIX secolo, sotto il fondamentalista peulh Sékou Amadou, che la fece cadere in rovina perché riteneva fosse contaminata dalla dissoluzione con cui, a suo avviso, vivevano gli abitanti, venne ricostruita nel 1907 in una riproduzione fedele della preesistente. Classificata in generale come architettura in stile sudanese con influenze marocchine, è in realtà uno stile che si potrebbe definire djénnénké, unico ed originale. Regina delle moschee, la sua imponenza stupisce immediatamente arrivando a Djenné, di cui è fulcro e punto di riferimento, simbolo indiscusso di una spiritualità che tutto avvolge. La vita e la quotidianità degli abitanti ruotano attorno alla moschea e ai richiami alla preghiera del muezzin, che risuonano tra i vicoli labirintici delle case di mattoni d’argilla e delle madrase coraniche. A Djenné il tempo sembra essersi fermato, in un’atmosfera ovattata di misticismo e intima devozione. Parte integrante della suggestiva atmosfera che si respira è la sua stessa condizione insulare, nel cuore delle acque del Bani, che si attraversa a bordo di carretti e piroghe, o di una grande chiatta.
Arrivare al tramonto all’imbarcadero è una delle emozioni più intense che il Mali possa regalare e una delle note più colorate di Djenné. L’argenteo bagliore del fiume, il cielo rosso fuoco che avvolge di luce calda gli scenari semi-desertici, mentre una moltitudine di genti attendono disordinate il proprio turno per il trasbordo. Una vivace confusione che stride con la quiete abituale del centro storico, in un tripudio di mercanzie, carri trainati dagli asini, venditrici con i loro fagotti, bambini schiamazzanti o giovani impazienti che azzardano un guado a piedi, immergendosi fino alla cintola. Infine, sull’altra sponda, appare lei, Djenné e la sua moschea, che si apre maestosa nel cuore del centro storico, illuminata dai toni intensi del sole che tramonta, a preannunciare l’imminente richiamo alla preghiera serale.
Un pretesto per capitare in città è la festa del crepissage della moschea, il restauro annuale dell’intonaco, in Aprile, prima che le piogge ne minino l’integrità. Un evento partecipativo che coinvolge tutta la popolazione. Dalla riva del fiume gli uomini dragheranno l’argilla migliore che servirà a preparare l’impasto con l’acqua trasportata dalle donne, mentre i bambini si divertiranno a miscelare con i piedi il composto, prima che venga steso sulla facciata, inerpicandosi sui caratteristici perni di legno che spuntano dai muri.
Uno spettacolo incredibile in cui Djenné si risveglia dal suo abituale torpore, altrimenti spezzato ogni lunedì dal mercato più variopinto e autentico di tutto il paese, in cui la piazza davanti alla moschea e il centro storico vengono invasi dall’andirivieni e il vociare di genti, in un mix di mercanzie, colori e odori speziati, tra banchi di legno, venditori ambulanti e concitate contrattazioni di allevatori peulh con il bestiame al seguito. Uno degli eventi commerciali più famosi del Mali che si rinnova ogni lunedì dal Medioevo.