Foto © A. Paolini
Per tentare di comprendere l’affascinante cultura maliana e il suo variopinto mosaico di tradizioni e popoli, è necessario risalire alle sue radici più profonde, che nascono tra le verdi colline del Pays Manding, terra carica di storia e di spiritualità ancestrali. Ma anche immergendosi nella caotica contemporaneità di Bamako, con il suo fermento culturale, le sue contraddizioni e la sua “fantasiosa” decadenza urbana. Due facce della stessa medaglia.
Il glorioso Impero del Mali ad opera di Soundjata Keita, nel XIII secolo; é tra la verde natura e le frastagliate falesie, i bei paesaggi e le limpide cascate, che venne pronunciata la prima carta dei diritti umani, a Kouroukan Fouga nel 1222. È da questo vasto regno di savane che presero origine le principali migrazioni, come quelle dei Bambara di Segou, dei Peulh di Macina, dei Songhay di Gao e Timbuktu. È dal Pays Manding che origina l’intero patrimonio musicale maliano, tra i più ricchi e antichi del mondo, quando i griots cominciarono a cantare e tramandare oralmente le gesta di Soundjata e la storia dell’Impero. Sono queste le terre che il popolo Dogon, originario del villaggio di Djoulafondo, si vide costretto ad abbandonare per sfuggire all’islamizzazione e rifugiarsi sulla Falesia di Bandiagara.
I dintorni della cittadina di Siby sono un luogo carico di storia, leggende e paesaggi mozzafiato, dove sotto l’imponente arco roccioso di Kamandjan, Soundjata e il suo esercito, guidato dal valoroso guerriero Kamandjan Camara, presero importanti decisioni e si prepararono alle guerre, fortificandosi e purificandosi con rituali magici, all’interno delle grotte sacre. Con dei bellissimi trekking eco-turistici, è possibile ripercorrere questi luoghi ricchi di simbolismo e magia ancestrale, alla scoperta della savana con le sue piante officinali, branca ancora oggi molto sentita e praticata dalla popolazione mandé, che non ha mai abbandonato le credenze animiste, in sincretismo alla religione musulmana. Tra una moltitudine di uccelli e primati, essenze naturali dalle ricche proprietà terapeutiche, luoghi sacri dove vengono perpetuati sacrifici propiziatori dalla notte dei tempi, e vallate di alberi di karité, dai cui frutti si estrae con procedimenti tradizionali il prezioso burro di karité, base della cosmesi e dell’alimentazione.
Terra di piccoli e sperduti villaggi, come quello di Djoulafoundo, con le case di fango dai tetti di paglia; scenografiche oasi di pace, quali la cascata di Djéndjéni, con il suo bacino naturale incastonato tra le pareti rocciose; e ancora, la placida spiaggia fluviale di Djolibà e le miniere d’oro artigianali di Bancoumana; l’infinità di case di feticheur/marabut che praticano ancora la “magia bianca” protettiva, recitando i versi del Corano. Ma anche patria di antichi cacciatori, che si tramandano la capacità di ipnotizzare gli animali feroci, all’interno della “Casa Sacra” di Kangaba, per la quale si rinnova ogni 7 anni l’antico cerimoniale del kamabolan. E infine il villaggio di Kela, cuore delle origini dei griots e del loro importante ruolo all’interno delle società tradizionali animiste, ma anche culla della storia orale maliana.
È da queste terre che origina e trae ispirazione il vasto e ricchissimo patrimonio della musica contemporanea maliana, rinomato in tutto il mondo e di cui la capitale Bamako ne è diventata la “factory”.
La tradizione vuole che Bamako venisse fondata nel XVI secolo da cacciatori bambara di Segou, giunti su queste rive per proteggere una piccola comunità dagli attacchi dei caimani. Come riconoscenza per essere stati liberati, i paesani offrirono ai cacciatori di rimanere con loro e fondare una città alla quale venne dato il nome di Bamako, che in lingua bambara significa « riva dei caimani ». Oggi la città conta circa 2.000.000 di abitanti e la prima impressione che si ha all’arrivo è quella di una città caotica, frenetica e inquinata dai tubi di scappamento delle automobili e di un’infinità di motorini Jakaarta. In effetti il traffico disordinato, confluente nei soli tre ponti che collegano le due sponde della città sul fiume Niger, è uno dei problemi principali. Ma dietro al caos del traffico, si cela in realtà un ritmo di vita tutt’altro che frenetico e un potenziale non immediatamente percepibile.
Un soggiorno a Bamako può offrire delle incredibili attrattive culturali, ma bisogna saperle cercare! Dalle canoniche visite al Giardino Botanico e al Musée National, che conserva reperti di inestimabile valore provenienti dal sito di Djene-Jeno, o stauine votive di epoca Tellem, al movimentato Grande Marché, dove perdersi per ore; dal pittoresco mercato dei feticci, tra ossa, pelli animali e portafortuna di tutti i tipi (gris-gris), a quello del riciclo, tra un horror vacui acustico, che riporta a nuova vita i metalli riciclati; o ancora godersi al tramonto la vista mozzafiato sulla collina del Point G.
Ma Bamako é fatta anche di cinema, teatri, concerti, mostre ed eventi culturali di tutti i tipi. Dai concerti dell’Institut Français du Mali, alle jam session della Maison des Jeunes, dagli spettacoli del Blonba, alle decine di Festival culturali a tema, che si tengono ogni anno nelle principali piazze della città, per non parlare di comunissime feste di matrimonio che, come recita una famosa canzone “le dimanche à Bamako c’est le jour de mariage”, riempiono le strade della città di tradizionali canti improvvisati e celebrativi dei griots. Da non perdere una visita a Yaya Coulibaly, il più grande marionettista/artista, griots/feticheur e guaritore tradizionale, che custodisce la più grande collezione di marionette antiche del Mali e tramanda questa antica arte teatrale, scultorea e terapeutica in giro per il mondo.
Un passaggio da non dimenticare è quello al tempio della fotografia africana, il laboratorio di Malick Sidibé, padre indiscusso dei ritratti della dolce vita post-coloniale, che catturò in immagini l’euforia della vita sociale bamakoise anni ’60/‘80, esponendo i suoi scatti nelle più importanti gallerie e musei internazionali. E per finire in bellezza, una “ballade” in piroga sul fiume Niger, tra pescatori, isolotti, raccoglitori di argilla e donne che fanno il bucato, come se il tempo si fosse fermato sulle sponde del fiume, se non fosse il moderno skyline a ricordarci che siamo nel XXI secolo.