Siti UNESCO
In Senegal sono presenti 7 siti dichiarati Patrimonio dell’Umanità UNESCO. Si tratta in prevalenza di siti di interesse culturale-paesaggistico e due di interesse ambientale-naturalistico.
Siti di interesse culturale:
Paesaggio culturale Bassari, Fula e Bedik (2012)
Importante per la simbiosi con cui i suoi abitanti, distinti in tre gruppi etnici, vivono con la natura e in equilibrio con essa e tra loro, ognuno espressione della propria identità e cultura che perdura nei secoli. Gli agricoltori Bassari circondati da risaie e dalla secolare ritualità animista; gli allevatori Peuhl semi-stanziali (chiamati anche Fula), islamizzati ma fortemente attaccati alla propria tradizione; i Bedik dai caratteristici villaggi di paglia e argilla, arroccati e inaccessibili, dove vengono custoditi i segreti della loro cosmogonia.
Isola di Gorée (1978)
Isola della “Memoria”, Gorée è la testimonianza di tre secoli di tratta negriera, durante i quali fu uno degli avamposti più strategici sulle coste africane, conteso tra portoghesi, olandesi, inglesi e francesi. Simbolo del più grande esodo di massa forzato e delle rivalità tra potenze europee, conserva oggi l’architettura civile e militare, di quello che fu non tanto il “magazzino” della tratta negriera, quanto un avamposto logistico e di smistamento, scalo prediletto nelle rotte verso l’Europa e le Americhe, “vedetta” di controllo delle coste. La Casa degli Schiavi, appartenuta in realtà a una delle tante Signares che abitavano l’isola, è la tipica abitazione di un negriero. Al piano superiore gli appartamenti lussuosi dei ricchi mercanti e nelle segrete, l’umido e la miseria della cattività. Le Signares erano giovani donne senegalesi o meticce, che venivano scelte quali concubine dai mercanti europei e personalità militari, ed elevate a rango superiore, scampando così alla deportazione. Ai figli meticci veniva data la possibilità di studiare ed ottenere una professione, mentre alle figlie femmine veniva assegnata una delle ricche abitazioni di Gorée (o di St. Louis) dove gestire i “campionari” di future Signares o accogliere i mercanti di passaggio, in cerca di affari sull’isola e di compagnia.
Isola di St. Louis (2000)
La cittadina coloniale di St. Louis è particolarmente importante dal punto di vista culturale, perché racchiude tra le sue testimonianze architettoniche e urbanistiche, la storia di una trasformazione generazionale della società senegalese, sotto l’influsso culturale francese. Nata come base militare strategica alla foce del fiume Senegal, per la sua posizione geografica del tutto particolare ne divenne vera e propria capitale amministrativa, politica e culturale. Sorge su un’isola, protetta dall’Oceano da una lingua sabbiosa chiamata Langue de Barbarie, che la rende un avamposto difficile da attaccare, una porta strategica di accesso al fiume Senegal e un porto sicuro. Le sue architetture coloniali sono il simbolo non solo del predominio amministrativo sulle popolazioni locali, ma anche del tentativo di prevaricazione culturale sulle realtà locali. St. Louis divenne il luogo simbolo del concubinaggio tra funzionari francesi e giovani donne senegalesi, scelte per allevare intere generazioni di figli meticci, elevati a rango superiore e che venivano integrati nella vita amministrativa, professionale e culturale della Colonia d’Oltremare. Importanti architetture sopravvivono intatte, quali lo storico Hotel de la Poste, base per gli aviatori francesi addetti a trasportare i corrieri postali in Francia o nelle Americhe. Il Ponte in ferro di epoca eiffeliana è ancora oggi in funzione e collega la terraferma all’Isola. La leggenda vuole fosse progettato da Eiffel, ma quest’ultimo venne scartato in favore di una ditta locale. Il ponte, chiamato “la Tour Eiffel Orizzontale” prevede un sistema di rotazione del modulo centrale che apre il passaggio del canale alle grandi navi.
Delta del Siné-Saloum (2011)
Istituito nel 1976 e inserito nella lista UNESCO nel 2011, occupa una superficie di 76.000 ettari compresa nel delta del fiume Saloum. Importante per il suo eco-sistema ambientale, costituisce un polmone verde fatto di intricate gallerie di mangrovie e piante acquatiche, rifugio di un’enorme varietà ittica e anfibia, oltre alla sua importanza ornitologica, fornendo riparo a numerosi uccelli migratori, quali la sterna, il piovanello, il fenicottero rosa, il gambecchio e la spatola bianca. La regione è abitata dal popolo Serere fin dall’antichità, probabilmente già dall’epoca neolitica. Ancora oggi il delta è disseminato di piccoli villaggi di pescatori serere, mimetizzati tra gli imponenti alberi fromager, dediti anche all’agricoltura e alla coltivazione del riso nell’entroterra. Caratteristico è il sistema di trasporto su carretti di legno trainati dai cavalli, in grado di percorrere le piste sterrate anche durante l’intensa stagione delle piogge.
Circoli megalitici del Senegambia (2006)
Su una superficie di 39.000 ettari, nella terra di confine tra il Senegal e il Gambia, sono disseminate delle misteriose pietre megalitiche, simili ai menhir mediterranei. In laterite hanno dimensioni variabili da 1 a 2,5 metri di altezza e disposte in centinaia di cerchi, ciascuno dei quali comprendente tra le 10 e le 24 pietre. Da recenti studi emerge che vennero erette in una vasta epoca compresa tra il III secolo a.C. e il XVI secolo d.C., probabilmente quali luoghi sacri di sepoltura, dai numerosi resti umani rinvenuti.
Siti di interesse naturalistico:
Parco Nazionale degli uccelli di Djoudj (1981)
A 60 km a nord di St. Louis si estende il Parco di Djoudj su una superficie di 16.000 ettari. Viene considerato il terzo parco ornitologico più importante al mondo ed è il rifugio di circa 3 milioni di uccelli migratori, suddivisi in circa 400 specie diverse. Il suo ambiente, in parte di terraferma e in parte acquatico del fiume Senegal, ospita tra le colonie più numerose dell’Africa di pellicani e fenicotteri, ibis, aironi e pagliaroli. Inserito nel 1981 tra la lista del Patrimonio UNESCO, è stato depennato nel 2006 dai patrimoni in pericolo, nonostante il suo delicato e prezioso equilibrio.
Parco Nazionale del Niokolo-Koba (1981)
Inserito tra il Patrimonio UNESCO nel 1981, il Niokolo-Koba si estende a sud-est del paese verso il confine con la Guinea, e include gli unici rilievi presenti su suolo senegalese. In una zona di grande importanza paesaggistica, rimane una delle ultime aree protette del Sahel a preservare un ecosistema di transizione tra la vegetazione della savana sudanese e la foresta umida guineana a galleria. Al suo interno sono state inventariate circa 1500 specie diverse di flora. La sua popolazione faunistica comprende numerose specie di mammiferi, rettili, uccelli, anfibi. I grandi mammiferi negli ultimi anni si sono ridotti ad appena un migliaio di esemplari: l’antilope “eland gigante”, il leone, il licaone e forse qualche esemplare di leopardo. Numerosi primati, bufali e gazzelle sono ancora endemici; è possibile avvistare qualche ippopotamo e coccodrillo, mentre l’elefante e la giraffa si sono totalmente estinti.
Architettura
Il Senegal pur non possedendo vere e proprie architetture monumentali, a parte qualche edificio amministrativo coloniale o la grande moschea di Touba, mostra un campionario di architetture civili tradizionali e coloniali che meritano veramente un approfondimento.
Ogni popolo ha le proprie abitazioni tradizionali, che variano a seconda della zona, della tradizione locale e delle materie prime reperibili.
Dove il terreno è fertile e argilloso, le case vengono costruite in banco, ossia in mattoni di terra cruda fatta essiccare al sole. Sulle sponde dei fiumi o sul litorale si usa la paglia, il bambù, la palma intrecciata, ma anche un melange di fango rinforzato con conchiglie tritate.
Particolarmente caratteristici sono i granai di paglia dei serere nell’isola di Joal-Fadiouth, costruiti su palafitte in legno nella laguna, per metterli al riparo da insetti e roditori e in passato dai predatori nemici.
Tra le architetture civili le più interessanti sono le case a “impluvium” del popolo diola, con un sistema di raccolta d’acqua piovana tramite la copertura di paglia che forma un imbuto sul centro della casa, dove è presente una cisterna. Sempre in Casamance rimangono gli ultimi esempi di case in argilla a due piani.
Se nella maggior parte del paese si tende sempre più ad abbandonare il savoir-faire tradizionale e le antiche tecniche di costruzione, in favore di materiali più moderni e forme impersonali, il popolo Bedik vive ancora oggi nelle piccole case di fango con il caratteristico cappello di paglia molto appuntito. I Peuhl di cultura nomade o semi-nomade, pur essendosi in parte sedentarizzati, mantengono la tradizione di costruire abitazioni semplici con arredi interamente smontabili e trasportabili.
L’architettura coloniale è invece organizzata in veri e propri piani urbanistici, di cui St. Louis e l’Ile de Gorée sono gli esempi principali. Altrove, compresa Dakar, le architetture francesi sono state invece in parte fagocitate dall’urbanizzazione selvaggia e disordinata moderna, o abbandonate fino a diventare dei ruderi fatiscenti. In realtà la maggior parte degli edifici di epoca coloniale, rispecchiano non tanto la cultura francese continentale, quanto un tipo di architettura locale, simbolo della cultura “meticcia”. Numerosi esempi di ville a due piani dai tipici ballatoi in legno e balconi forgiati in ferro battuto, erano abitate dalle Signares, le concubine senegalesi dei funzionari francesi, e madri delle future generazioni di meticci elevati a rango superiore e inseriti nell’amministrazione coloniale. Difficile credere che queste belle case color pastello, romantiche nelle loro architetture ricoperte di buganvillee, servissero soprattutto da luoghi di prostituzione o per stoccare nei loro sotterranei, gli schiavi destinati in parte al mercato privato e mercenario. L’esempio per antonomasia si trova a Gorée, nell’edifico musealizzato chiamato “La Casa degli Schiavi”, risalente al XVIII secolo e dalla bellissima scala monumentale a doppia rampa semicircolare che porta al piano padronale.
Alcuni esempi di architettura amministrativa, religiosa, militare o ingegneristica coloniale, sono il monumentale Palazzo del Governatore di St. Louis, numerose Cattedrali in stile neo-gotico e neo-classico, risalenti a svariate epoche, il Ponte Faidherbe, simbolo della città, che collega l’Isola di St. Louis alla terraferma, tipica espressione dell’ingegneria industriale di eiffeliana memoria, e il forte dell’Isola di Gorée, una delle costruzioni più antiche, risalente al XVI secolo. Tra gli esempi di architettura coloniale del XX secolo, sono una serie di edifici costruiti a Dakar, quando ivi ne venne spostata la capitale. La Stazione dei treni, la Camera di Commercio e il nuovo Palazzo del Governatore, sono tutti in stile neoclassico con qualche contaminazione di forme care alla tradizione sahelo-sudanese.
La Moschea di Touba è l’unico vero esempio di architettura monumentale senegalese, appartenente alla sfera religiosa. Voluta dal fondatore della Confraternita Mouride, Cheikh Amadou Bamba dal suo esilio in Mauritania nel 1926, venne realizzata dal figlio e dai suoi fedeli tra gli anni ’30 e gli anni ’60, anche se si può dire che i suoi lavori non sono mai finiti e viene costantemente ampliata, abbellita, ristrutturata e arricchita. Fortemente ostacolata dall’amministrazione coloniale, fu soggetta a regole e tasse esorbitanti, ma ogni stipendio versato ai lavoratori, adepti della confraternita mouride, veniva immediatamente donato come contributo alla costruzione.
E’ oggi una delle moschee più grandi di tutta l’Africa, conta di 7 minareti da 60/80 metri di altezza, sormontata da una serie cupole e aperta su 6 grandi porte di accesso. Al suo interno si trova il Mausoleo di Bamba. Viene raggiunta ogni anno da milioni di fedeli nel pellegrinaggio del Magal.
Arte tradizionale
Con la conversione all’Islam della quasi totalità dei popoli dell’attuale Senegal, tra l’XI e il XIX secolo, la maggior parte dell’arte tradizionale e dell’artigianato, sono scomparsi. Sopravvivono all’iconoclastia musulmana, i manufatti legati all’universo sincretico tra Islam e animismo, quali i gris-gris in cuoio (portafortuna religiosi), la produzione di strumenti musicali (soprattutto a percussione o a corda), la produzione di tessuti, la fabbricazione di oggetti utilitaristi alla vita quotidiana.
Per veder rifiorire le arti prettamente grafiche o plastiche, il paese dovrà aspettare il XX secolo, con la nascita di una corrente molto promettente di arte contemporanea e una produzione di manufatti-souvenir (principalmente bigiotteria) che ricevette l’input dalla crescente richiesta dell’industria turistica internazionale. Per il resto, la maggior parte delle boutique artigianali senegalesi, espongono oggi maschere tribali o sculture votive provenienti dalla tradizione dei paesi limitrofi.
In seno al concetto di “negritudine” avviato da Leopold Sedar Senghor negli anni ’60, a Dakar è stato inaugurato nel 2018 il Museo delle Civilizzazioni Nere, con l’intento di raccogliere reperti e oggetti provenienti da tutte le civilizzazioni africane, dalla preistoria ai giorni nostri, facendo del Senegal la culla della ricostruzione dell’identità africana, minata dalla diaspora e dal colonialismo.
Entrate nella produzione artistica locale del XX secolo, sono alcune tecniche particolari di arte grafica, quali la pittura sul vetro o le composizioni con sabbia. La prima, chiamata in Senegal souwer (dal francese sous-verre), consiste nel dipingere a gouache il disegno principale su una lastra di vetro, dipingendone le superfici piene e la cornice, per poi colorarne lo sfondo dall’altro lato della lastra. Negli anni ‘60-‘80, con il boom in Africa Occidentale del ritratto fotografico, questa tecnica rappresentava una valida alternativa, piuttosto economica, per farsi immortalare. Oggi è perpetuata da artisti quotati e una loro opera può essere molto costosa. Nell’Isola di Gorée alcuni artisti e artigiani hanno aperto degli atelier di “pittura con la sabbia”, una particolare tecnica di disegnare con della colla su una tavoletta e, per pose successive, stendere degli strati di sabbia che vi rimangono incollati, a creare i colori, le ombre e le sfumature (ogni regione ha la sua gradazione cromatica di sabbia).
L’arte del riciclo è molto diffusa in tutta l’Africa e il Senegal non fa eccezione. In voga a partire dagli anni ’80, nacque sotto la spinta di una corrente di giovani artisti concettuali ivoriani, che dovevano supplire ai costi esorbitanti dei materiali artistici di importazione e cominciarono quindi a creare arte con l’assemblaggio di tutto ciò che trovavano tra i rifiuti o sulle spiagge. Oggi si creano bellissime sculture soprattutto dalla modellazione di vecchie lattine o dalla decontestualizzazione di oggetti di uso comune o parti di esso, quali vecchie forcelle di bicicletta, candele di motorini, selle, bidoni di petrolio, vecchi pneumatici.
Quel che è certo è che la pittura in Senegal è ormai parte della vita quotidiana, esattamente come la musica, tornata alla ribalda in una società musulmana, sotto il pretesto didattico. Se in Senegal la scolarizzazione è piuttosto diffusa, è pur vero che ancora una larga parte della popolazione è analfabeta. Ecco quindi che una sorta di pittura istoriata si ritrova un po’ ovunque, dai muri delle case o luoghi pubblici, alle insegne dei negozi, dagli autobus e i taxi “personalizzati” alle coloratissime piroghe che riposano in secca sulle spiagge. La pittura parla al popolo e colora le strade senegalesi.
L’estro artistico contemporaneo del Senegal ha trovato la giusta collocazione intellettuale nell’evento più importante di tutto il Continente, la Biennale di Dakar (Dak’Art).
Tra gli artisti di fama internazionale che hanno visto i natali in Senegal, sono lo scultore Ousmane Sow, il pittore Soly Cissé, il designer Ousmane Mbaye e i fotografi Mama Casset (bianco e nero) e Omar Victor Diop (colore).
Cinema
Il cinema coloniale in Senegal esordì nel 1934, con una pellicola in cui l’attore protagonista francese aveva il viso colorato di nero e impersonava un ipotetico Re locale.
Per vedere un primo tentativo di produzione cinematografica locale, bisognerà aspettare gli anni dell’Indipendenza. Gli esordi superano le aspettative con le prime pellicole del trio Paulin Vieyra, Jacques Mélo Kane, Mamadou Sarr e soprattutto con la vocazione cinematografica dello scrittore Ousmane Sembene, ancora oggi considerato il più grande cineasta senegalese e di tutta l’Africa Occidentale. La sua pellicola La Noire de… riceve attenzione internazionale e tratta nel 1966 il tema del razzismo. Il Premio speciale della giuria a Venezia viene dato nel 1968 al suo Mandabi, inaugurando una lunga carriera costellata di premi e riconoscimenti, chiusasi con l’ultimo suo Moolaadé, sul tema dell’escissione, nel 2004. Sulla spinta dell’entusiasmo a Dakar proliferano le sale di proiezione e si susseguono numerose associazione e società di finanziamento; nasce una vera e propria Industria Cinematografica per tutti gli anni ’70, ’80 e ’90. Djibril Diop Mambéty, Moussa Touré (vincitore al FESPACO di Ouagadougou e menzione speciale a Cannes con Pirogue), Safi Faye (prima regista donna senegalese), sono alcuni dei nomi che conquistano la ribalta internazionale assieme a Ousmane, che propongono un cinema d’autore di tipo realista. Gli anni 2000 non sono altrettanto prolifici per l’Industria locale, seppur ricchi di talenti. La maggior parte delle sale chiude i battenti e Alain Gomis, Mansour Sora Wade, Aïcha Thiam, Moussa Sene Absa (Orso d’Argento a Berlino per la colonna sonora di Madame Brouette) e altri registi di nuova generazione, sopravvivono grazie alle co-produzioni internazionali.
Letteratura
Il padre indiscusso della letteratura senegalese è stato Leopold Sedar Senghor. Nato nel 1906 a Joal da una famiglia cattolica, si appassiona presto alla letteratura francese. A 22 anni vince una borsa di studio offerta dall’amministrazione coloniale e si reca in Francia dove, al termine della sua formazione accademica, diventa professore. Viene arruolato nell’esercito francese durante la Seconda Guerra Mondiale e farà due anni tra le prigioni e campi di concentramento tedeschi. Qui comincia a scrivere i suoi primi poemi. Al termine della guerra entra nelle fila del Partito Comunista e comincia la carriera politica che lo porterà a diventare il primo Presidente del Senegal Indipendente. In campo letterario se si mostra come uno dei padri e sostenitori della Francofonia, scrivendo numerosi saggi sulla lingua e cultura francese, diventa anche il principale teorico del concetto di “Negritudine”, con un cospicuo corpo di scritti incentrati sull’universo africano, l’accettazione della propria identità, della propria storia e del proprio destino, quale base di riscatto (Chants D’Ombre, 1945). La raccolta di poemi Ethiopiques, scritti tra 1947 e 1956, sono l’esaltazione della negritudine e dell’Africa quale culla dell’umanità, attraverso la celebrazione di figure mitiche, quali la Regina di Saba, o attraverso la descrizione poetica e sublime di aspetti più comuni dell’africanità. Nel 1960 scrive i versi dell’inno nazionale senegalese, Le Lion Rouge. Tra i suoi saggi sono i 5 trattati intitolati Liberté, scritti tra il 1964 e il 1992, la cui analisi filosofica del concetto di negritudine è intrinsecamente collegata a quella politica.
Sull’interpretazione della Negritudine, si basano i principali lavori di una prolifica scuola di letteratura senegalese negli dell’Indipendenza, spesso impregnati di sentimento e critica anti-colonialista. Nel 1957 Ousmane Sembene, che diventerà il più grande regista cinematografico senegalese, scrive Le Docker Noir. Nel 1961 Cheikh Hamidou Kane lavora alla stesura di L’Aventure ambiguë, mentre tra il 1954 e il 1980 si inserisce la colossale opera storico-antropologica di Cheikh Anta Diop, che ha consacrato tutta la sua vita alla ricostruzione delle origini delle civilizzazioni africane, dei loro usi e costumi, e all’apporto che questi hanno fornito all’umanità intera.
Particolarmente attivo e incisivo è l’universo letterario femminile, con Mariama Ba, Aminata Sow Fall o Fatou Diome, che danno spesso voce agli ultimi della società senegalese.
Musica
Impossibile prescindere dalla musica e dal ritmo quando si parla di processo creativo in Africa. La musica senegalese è in perenne dialogo e scambio tra modernità e tradizione. Dalla notte dei tempi la musica è il linguaggio parlato e la tradizione orale dei popoli, vera e propria forma di comunicazione che affonda le sue radici più profonde nell’antiche leggende dei griots, i cantastorie addetti a tramandare oralmente le gesta delle grandi civilizzazioni passate. La contemporaneità è una continua evoluzione e contaminazione di stili che attingono dal passato e dalla strumentazione ancestrale, arricchendosi e trasformandosi in nuove espressioni, specchio dei tempi moderni, tanto che si può parlare di una vera e propria “musica senegalese”, fortemente caratterizzata e riconoscibile, anche dal fatto che è interamente cantata in lingua wolof.
Il sabar è il genere più tradizionale, che include la danza, gli strumenti antichi e il tipico “canto parlato” della tradizione griot. Le feste di matrimoni, battesimi o qualsiasi evento gioioso sono un tripudio di sabar. Se la danza si è evoluta con la particolare tecnica dell’Acogny in una forma contemporanea, mista di sabar e danza classica, il canto e il ritmo si sono evoluti nella contemporaneità dello mbalax, per il quale, a strumenti tradizionali quali la korà, il djembé o il balafon, si affiancano ritmi rap e pop. In tutti i locali, bar, discoteche, spopola lo mbalax che impregna di ritmo anche le strade e la vita quotidiana senegalese, 24h su 24h.
Youssou N’Dour, Baaba Maal, Ismael Lo, sono tra gli artisti più conosciuti a livello internazionale e hanno raggiunto le top ten musicali europee. Quanti di noi hanno cantato “Seven Seconds” negli anni ’90, del duo Youssou N’Dour (in wolof) e Neneh Cherry (in inglese)? Quanti di noi si sono commossi davanti al film di Almodovar “Tutto su Mia Madre” sulle note di chitarra, kora e armonica di “Tajabone”, cantata in wolof da Ismael Lo?
Ricordiamo inoltre il film “Madame Brouette” del regista senegalese Moussa Sene Absa, che ha vinto l’Orso d’Argento a Berlino proprio per la sua colonna sonora, che fa da filo conduttore alla storia, con la presenza costante fuori campo di un gruppo di griots, veri narratori delle vicende rappresentate, in un mix di canti sabar/mbalax.