Se l’isola di Robben Island, a largo di Cape Town, con il suo carcere che ospitò a lungo Nelson Mandela, è considerata un luogo simbolico di memoria collettiva, la città di Johannesburg e la township di Soweto, furono i veri e propri luoghi storici dove nacque l’Apartheid sudafricano e che qui si espresse in tutta la sua violenza ed ingiustizia, creando terribili contrasti sociali, ma anche i germogli della resistenza, della protesta e della lotta politica, che portarono all’abolizione del segregazionismo afrikaner nel 1990.
Johannesburg è ancora oggi una città di contrasti e contraddizioni, non solo sudafricani, ma simbolicamente dell’intera Africa. Metropoli immensa e ricchissima, cuore pulsante dell’economia nazionale, venne fondata nel XIX secolo come avamposto per lo sfruttamento minerario, quindi il luogo dove si concentrarono la maggior parte degli interessi speculativi coloniali e, di conseguenza, la più intransigente supremazia anglo-boera, a discapito delle popolazioni locali.
È qui che vissero Gandhi, l’arcivescovo Desmond Tutu e, come sappiamo, Nelson Mandela, tutte personalità che poi, non a caso, divennero tra i principali attivisti mondiali nella lotta ai diritti umani, dal momento che sperimentarono sulla propria pelle le ingiustizie del regime dell’apartheid. Altresì, non è un caso che fu a Johannesburg, o meglio a Soweto, una delle principali township dove venivano forzatamente segregate le popolazioni nere, che scoppiarono i più impetuosi movimenti di protesta dell’intero continente, repressi violentemente nel sangue.
Oggi a memoria di tutto questo, rimangono alcuni luoghi-simbolo della storica lotta politica, come la prima Casa di Nelson Mandela a Soweto, nel quartiere delle colorate Orlando Towers (méta di bungee jumping), a pochi passi dal Museo e Memoriale Hector Pieterson, giovane studente di appena 13 anni, ucciso in strada, durante la rivolta studentesca del 1976. O a Johannesburg, la dimora di Gandhi, il Constitution Hill, dove venne applicato il nuovo ordine costituzionale alla fine del segregazionismo, che però sorge simbolicamente sull’antica prigione coloniale per i sovversivi, e soprattutto, il Museo dell’Apartheid, che ripercorre con grande forza emotiva, gli anni bui del Sudafrica, celebrando la memoria di Madiba (soprannome in lingua locale xhosa, del leader Mandela).
Fino a una decina di anni fa, Johannesburg era considerata la città più pericolosa al mondo, che faticava a liberarsi dal passato e dalla rabbia. Oggi la riqualificazione di numerose zone e alcune importanti riforme sociali, avviate proprio con la fine dell’apartheid e l’elezione a Presidente di Nelson Mandela, stanno finalmente dando i loro frutti ed è possibile visitarne il centro e l’immensa township di Soweto, in tutta tranquillità. Visita che è d’obbligo, non solo per la sua memoria storico-politica, o le sue vie moderne e i centri commerciali all’avanguardia, ma anche perché rappresenta, in contrasto con i soprusi perpetuatisi, il fulcro di una regione naturalistica spettacolare, il Gauteng, che accoglie una delle più importanti culle antropologiche dell’umanità.
La Candle of Humankind, a ovest di Johannesburg, è considerata una delle zone paleontologiche più interessanti al mondo, nominata per questo motivo Patrimonio Mondiale dell’Umanità UNESCO, dove dei suggestivi percorsi porteranno alla scoperta dei siti fossili di Maropeng, dei cimiteri di ominidi delle Sterkfontein Caves, senza dimenticare la prima miniera d’oro, scavata dai pionieri coloniali nel XIX secolo, la Old Kromdraai Mine.