Il Sud Sudan è oggi lo stato più giovane di tutto il Continente Africano, nato solo nel 2011, quando, al termine di un difficile ventennio di contrasti, fu concesso un referendum che decise al 98% dei voti per l’autodeterminazione e la definitiva separazione dal Sudan islamizzato del nord e dal governo di Khartoum. Juba ne divenne quindi la capitale, l’ultima d’Africa, a cui è toccato l’arduo compito di amministrare un neonato paese, finalmente indipendente, ma ben lontano dall’aver trovato la pace.
Se Juba è la capitale politica più giovane dell’Africa, la sua fondazione in quanto città è tutt’altro che recente, con una storia che rimanda al XIX secolo. Tuttavia, all’epoca, il centro abitato più importante della storica Regione dell’Equatoria era Gondokoro, a una decina di chilometri più a nord di Juba, fino a che quest’ultima non venne scelta come principale avamposto meridionale di controllo strategico anglo-egiziano e base per le spedizioni scientifiche inglesi alla ricerca delle sorgenti del Nilo, con una breve parentesi di predominio belga, agli esordi del ‘900. Questo gettò le basi urbanistiche per quella che divenne nel 2005, il capoluogo della regione sud-sudanese, sotto il leader John Garang, scelta in quanto città storicamente abitata dall’etnia Bari, quindi considerata neutrale nell’ambito dei perenni conflitti inter-etnici, che poi però la paralizzarono, una volta diventata capitale di stato nel 2011, a causa della guerra per il potere tra il principale gruppo dei Dinka, cui appartiene l’attuale presidente, e il popolo Nuer, seconda etnia più popolosa del paese.
La capitale, che accoglie oggi una popolazione di circa 560.000 abitanti, non presenta grandi attrattive architettoniche o monumentali, a parte qualche luogo di culto cristiano e qualche retaggio di epoca coloniale, ma il suo interesse si concentra più che altro nelle colorate atmosfere della quotidianità, in particolare nei dintorni dei movimentati mercati di quartiere, di cui Konyo Konyo è quello principale, fulcro nevralgico della vita commerciale e sociale dell’intero paese, e in quanto città-simbolo di una cultura contemporanea africana in divenire, al netto delle sue contraddizioni con le realtà arcaiche e poverissime delle zone rurali circostanti, delle problematiche che ne conseguono, ma anche delle grandi potenzialità, di uno stato la cui coesione e il cui futuro sono ancora tutti da costruire. Senza dimenticare il magnifico scenario naturalistico in cui si affaccia, sulle rive del Nilo Bianco, che ne hanno da sempre orientato e condizionato lo sviluppo urbanistico ed economico, e che di per sé vale senza dubbio uno stop in città, per contemplarne i paesaggi fluviali, accesi dalla luce del tramonto.
Juba va visitata quindi, non solo in quanto tappa obbligata verso la scoperta di un mosaico di popoli rurali dell’Equatoria Centrale, tra i più poveri al mondo e tra i più ricchi in tradizioni ed identità ancestrali, ancora scevri da contaminazioni ed appiattimenti culturali di un mondo sempre più globalizzato, ma soprattutto perché in qualche modo, rappresenta meglio di qualsiasi altra capitale africana il percorso post-coloniale del continente, con i suoi perenni conflitti interni e gli interessi internazionali, le sue contraddizioni, ma anche il suo costante divenire, le sue potenzialità in fieri che non aspettano altro di lasciare l’embrione in cui sono intrappolate, suo malgrado.