Siti UNESCO
In Sudan sono attualmente inclusi nella lista del Patrimonio mondiale UNESCO, tre siti, di cui due per l’interesse archeologico e culturale, e uno per il suo interesse ambientale.
Isola archeologica di Meroé (2011)
Fondata quale nuova capitale del Regno Kushita sotto il sovrano Aspelta, nel 590 a.C., Meroé si trova sul territorio desertico del Butana, circondato su tre lati dal Nilo e dall’Atbara, all’altezza della V/VIª cateratta. Riportata nei testi biblici con il nome di Saba e dai Persiano come Meroé, la capitale comprendeva i monumenti e l’abitato di Naqa, di Mussawarat, e le due necropoli principali, formate in origine da circa 200 piramidi. Si tratta degli esempi più recenti di piramidi, in un momento in cui l’Egitto aveva smesso da cinque secoli di costruirne. La loro caratteristica è nelle dimensioni contenute ma più acute, secondo il precedente stile napatese. La loro raffinatezza decorativa e il portico a frontone di cui sono dotate ne fanno un unicum. Le numerose epigrafi rinvenute, testimoniano l’utilizzo di una scrittura autoctona meroitica che soppiantò l’alfabeto egiziano, mentre due templi, uno a Mussawarat e l’altro a Naqa, erano dedicati alla divinità nubiana Apademak, il dio Leone, venerata assieme al dio Amon, il dio Ariete, importato dall’Egitto, cui è dedicato un edificio a Naqa. Molte sculture di elefanti adornano i templi, facendo pensare che si trattava di un animale altrettanto venerato e da cui la zona era ancora ampiamente abitata.
Nel 1834 il tombarolo italiano Giuseppe Ferlini, in cerca di tesori, distrusse una parte di piramidi con la dinamite, compresa quella che dava sepoltura alla candace Amanishakheto, dove in effetti trovò uno dei tesori più preziosi dell’era meroitica.
Rovine archeologiche del Jebel Barkal (2003)
A partire dal XV secolo a.C. l’Egitto faraonico spostò il baricentro geopolitico della dinastia verso la III/IV cateratta del Nilo, in terra Kushita, e fondò una nuova capitale a sud di Kerma. Napata diventa il fulcro della nuova spiritualità ed economia Kushita sotto il controllo faraonico. Per cinque secoli circa, la cultura egiziana si insedierà in Nubia, portando con sé gli stili architettonici, la scrittura, la religione e le proprie divinità, tra cui Amon. La montagna del Jebel Barkal venne probabilmente scelta quale luogo sacro per il suo sperone di roccia a forma di testa di cobra, simbolo regale e divino della dinastia faraonica egiziana (l’uraeus). Nel IX secolo a.C. con la dispersione del potere egiziano e la scissione spirituale di Tebe, Napata non solo ottenne l’indipendenza, ma conquistò essa stessa i possedimenti faraonici a nord della Iª cateratta. I sovrani nubiani si autoproclamarono faraoni e cominciarono a costruirsi piramidi quali luogo di sepoltura, monumenti religiosi e palazzi monumentali, secondo la cultura dei loro predecessori. Durante la XXVª Dinastia Napatese, detta dei “Faraoni Neri”, il Jebel Barkal continuò ad essere il centro spirituale del dio Amon, ma anche una nuova capitale, simbolo del nuovo potere autoctono. I numerosi templi riccamente decorati a bassorilievo e con sculture di arieti (Amon), le tombe sotterranee istoriate a lapislazzulo e oro, le necropoli regali al Jebel Barkal, Nuri e El-Kurru, che conservano ancora oggi un numero impressionante di piramidi, testimoniano una ricchezza storica millenaria, che riporta all’antica civiltà kushita di Kerma, alla civiltà egizia di Pnoubs e Napata, fino alla XXVª dinastia nubiana di Napata e a quella meroitica, durante la quale si continuò a venerare il Jebel Barkal quale luogo sacro.
Parco Marino di Songaneb, della Baia di Dungonab e Isola di Mukkawar (2018)
Al centro del Mar Rosso, il parco si compone di due siti differenti: l’isola di Songaneb situata a 25 km dalla costa sudanese e più a nord la Baia di Dungonab che comprende l’isola di Mukkawar.
Entrambe i siti si caratterizzano per l’impressionante varietà di barriere coralline, spiagge, atolli e zone di foresta a galleria, per la presenza di mangrovie. Totalmente disabitate, offrono riparo a un’incredibile varietà di uccelli acquatici, delfini, tartarughe, squali e numerosissime specie ittiche tra cui le mante giganti. La baia ospita la più importante colonia al mondo di dugong (simili ai lamantini). Sull’isola di Songaneb svetta l’antico e caratteristico faro costruito nel 1906 dagli inglesi, mentre adagiata sui suoi fondali riposa la nave da guerra italiana Umbria.
Architettura
Quando si parla di architettura in Sudan, ivi inclusa la scultura monumentale, bisogna necessariamente parlare di archeologica, testimonianza tangibile delle antiche civiltà che si susseguirono su queste terre.
Uno dei siti archeologici più estesi e antichi del Sudan si trova a Kerma, un tempo capitale del Regno Kushita. Qui vi sono le prime testimonianze architettoniche risalenti a ben 9000 anni fa, in quelle che sono le necropoli più antiche di tutta l’Africa subsahariana.
Le costruzioni tipiche di una civiltà nubiana, antecedenti agli influssi egiziani, sono le monumentali deffufa di Kerma, grandi complessi costruiti in mattoni d’argilla, di cui ancora oggi non si conosce con precisione la destinazione d’uso, ma che furono probabilmente siti religiosi, seppur simili a fortificazioni, inclusivi anche di tombe reali al loro interno. I muri svettano fino a 20 mt. di altezza e un sistema di scale porta al piano, mentre all’ingresso due basi circolari lasciano intendere che erano ornati di colonne. L’abitato civile era distribuito intorno alle deffufa e dalle fondamenta risulta una tecnica costruttiva e una concezione dello spazio abitativo che si è tramandata fino al giorno d’oggi tra il popolo nubiano.
Le caratteristiche case tradizionali nubiane in argilla intonacata e dipinta e le loro bellissime porte decorate, sono oggi la testimonianza di quelli che un tempo furono probabilmente i villaggi kushiti. Sviluppate intorno ad una corte e chiuse da un muro sulla strada, si articolano in numerose stanze dalle piccole dimensioni, che mantengono il fresco sotto ai patii a volta. E’ probabile che la copertura fosse a botte, come rinvenuto in alcuni dei prototipi più antichi di casa nubiana.
L’era della Nubia egizia ci ha tramandato invece grandiosi templi di raffinata fattura, il cui stile venne importato dai potenti faraoni egiziani. Tra gli esempi più alti furono il tempio di Amon a Kawa, fatto costruire da Tutankhamon, e quello a Soleib, dedicato alla stessa divinità egizia, per volontà di Amenhotep III. Il suo impianto classico con le numerose colonne granitiche è quello più monumentale tramandatoci in terra di Nubia. Un dromos fiancheggiato da sculture a forma di ariete (Amon era così rappresentato) conduceva fino alla banchina sul fiume Nilo. Alcune di queste sculture vennero riutilizzate in epoca successiva per la costruzione dell’omonimo templio al Jebel Barkal sotto la Dinastia dei Faraoni Neri kushiti. Contemporaneo è il tempio di Tiye, sposa di Amenhotep a Seidenga, di cui rimane una sola colonna nello stesso stile monumentale “a papiro”.
Il tempio di Sesibi, venne invece edificato sotto il successore di Amenhotep, Akhenaton, considerato eretico perché monoteista, con il culto unico incentrato sulla divinità Aton (disco solare). Successivamente le iscrizioni sulle colonne dedicate ad Akhenaton, vennero cancellate sotto Seti I che, probabilmente, ne cambiò la destinazione d’uso, convertendo il tempio alle divinità Amon-Ra, Mut e Khonsu.
Le cave di Tumbus erano utilizzate per l’estrazione del granito in epoca egiziana e successivamente in epoca napatese kushita. Da tali cave provengono numerose sculture, steli e colonne delle svariate epoche. Sul posto rimane la monumentale stele incisa a bassorilievo, voluta da Tumotse I per segnare probabilmente la frontiera tra i possedimenti egizi e quelli kushiti, la quale doveva fornire un monito della grandezza faraonica attraverso l’elenco di tutte le popolazioni sconfitte dai faraoni. Una scultura probabilmente del faraone kushita Taharqa o di suo figlio, venne abbandonata sul posto perché si danneggiò durante il trasporto verso Napata.
L’età d’oro della civiltà kushita e quindi anche della sua architettura, fu quella dei Faraoni Neri della XXVª Dinastia Napatese, che vide la costruzione di piramidi, templi, estese necropoli e raffinate architetture reali.
Il Jebel Barkal con la capitale Napata, divvene il simbolo del nuovo potere faraonico dei sovrani nubiano-kushiti. Qui vennero edificati 13 templi e 3 palazzi. Ai piedi della montagna, il glorioso templio di Amon edificato dalla XIXª dinastia egizia, fu interamente rifatto assieme a quello della sua sposa Mut, sotto la XXVª dinastia kushita, per il quale vennero utilizzati reperti provenienti da preesistenti architetture egizie, come le sculture di arieti del tempio di Soleib. Le sue stanze interne sono interamente scavate sul fianco della montagna e decorate con bassorilievi e colonne raffiguranti il dio Bes.
El-Kurru, Nuri e il Jebel Barkal,ospitano le tre necropoli regali dove vennero inumati la maggior parte dei sovrani e regine kushiti, fino all’epoca meroitica. Autoproclamandosi faraoni, presero a costruire sepolture a forma di piramide e farsi inumare in esse con gli attributi faraonici, secondo la cultura degli egizi. Rispetto alle piramidi egiziane, presentano una base di dimensioni più ridotte, ma questo permetteva di renderle più acute e slanciate verso l’alto. Se quelle di El-Kurru sono le più antiche e quelle di Nuri le più recenti delle dinastie kushite, quelle ai piedi del Jebel Barkal furono le più celebrative e raffinate dell’ultima età meroitica, durante la quale i sovrani, ormai ritiratisi nella capitale Meroé, continuarono a farsi inumare in parte ai piedi della montagna sacra e in parte non lontano dalla nuova capitale meroitica. Le loro camere mortuarie sotterranee, riportano splendidi esempi di pittura istoriata celebrativa, con pigmenti naturali di lapislazzulo, ocra e oro.
Meroe divenne la fiorente capitale di Nubia nel V secolo a.C., e conserva le architetture degli ultimi sei secoli di civiltà kushito-nubiana. I templi che vennero edificati continuarono la tradizionale venerazione del dio egizio Amon-Ra, di cui il tempio a Naqa è quello forse meglio conservato, ma fece per la prima volta la sua apparizione una nuova divinità autoctona, il dio Leone Apademak. A lui sono dedicati i templi a Musawwarat e un secondo templio a Naqa. La presenza massiccia in queste due aree religiose di raffigurazioni e sculture a forma di elefante, oltre ad architetture con ampie rampe di accesso, hanno lasciato presagire che anche questo animale fosse venerato dal popolo meroitico, o comunque allevato e presente in abbondanza nella zona.
Se le piante e le disposizioni architettoniche sono ancora influenzate dalle tecniche costruttive egizie e napatesi, l’iconografia e lo stile di alcuni elementi decorativi, presentano una propria evoluzione autonoma e qualche primo influsso derivante dall’architettura greca e romana. Le candace (regine madri) vengono celebrate quali figure simboliche di abbondanza e non più ritratti ieratici di regalità faraonica, mentre compare per la prima volta un chiosco di ispirazione greco-romana, con arcate e capitelli corinzi, oltre a teste leonine che rimandano alla sacralità del dio Apademak. Sui lati di questo edificio, i bassorilievi raggiungono una raffinatezza sublime. Il sovrano Natakamani e la sua candace Amanitore, al cospetto di Horus e Amon, vengono rappresentati nell’atto di decapitare i nemici e gettarli in pasto ai leoni. Alcune varianti iconografiche mostrano Apademak o come un leone a tre teste, o come un serpente con la testa leonina che spunta da un fiore di loto.
Più a nord venne eretta la vera e propria città reale di Meroé e le sue due necropoli principali, con gli ultimi esempi di piramidi dell’era meroitica. Queste sono le più celebri del Sudan, estremamente minute e acute, come quelle napatesi, concepite in maniera sostanzialmente diversa da quelle egiziane. Con le loro caratteristiche cappelle a piloni orientate ad est e la loro finta porta, costituivano una sorta di anticamera a patio, preludio in superficie della camera mortuaria, ricavata nel piano sotterraneo. Purtroppo molte di esse vennero danneggiate con la dinamite e saccheggiate da archeologi profanatori, quali l’italiano Giuseppe Ferlini che riuscì ad impadronirsi del prezioso tesoro della regina Amanishakheto nel 1836.
Per quanto riguarda la Nubia Cristiana, le testimonianze architettoniche più significative si trovano oggi nel monastero di Ghazali e nel vastissimo sito di Old Dongola, dove un antico palazzo fortificato in mattoni di argilla, un’antica basilica di cui rimangono le fondamenta e alcune colonne in granito, oltre ai meravigliosi affreschi conservati all’interno di una decina di chiese a pianta cruciforme, testimoniano della potenza cristiana che raggiunse il Regno di Makuria tra il IV e il XIV secolo d.C. In origine cittadella fortificata da mura, raggiunse il suo apogeo intorno al X secolo, periodo cui appartengono la maggior parte delle chiese decorate, almeno due palazzi signorili e un gran numero di abitazioni. A partire dal XIV secolo cominciò il declino di Dongola sotto gli attacchi arabi, fino alla conversione della popolazione e alla trasformazione di numerosi monumenti cristiani in moschee, tra cui la sala del trono dell’antico palazzo. Sotto il successivo sultanato Founja pochi metri dal sito furono edificati i primi santuari (kubbah) dei santi-marabutti venerati dall’Islam, a forma conica e interamente plasmati in argilla.
Testimonianze architettoniche della dominazione inglese rimangono invece in alcuni edifici coloniali nella città di Port Sudan (fondata nel 1905 dalla Corona Britannica) e il suggestivo faro sull’Isola di Songaneb, costruito nel 1906. Oggi in blocchi di cemento, era in origine formato da una struttura in ferro alta circa 55 metri. Al suo interno si conservano varie stanze e quella che fu una biblioteca, mentre sul pontile sono visibili le tracce di una rotaia che serviva per il carico/scarico delle merci dalle navi inglesi che attraccavano. La costruzione di Port Sudan quale nuovo hub commerciale sul Mar Rosso, soppiantò l’importanza millenaria dell’antica Suakin. Oggi non rimangono che ruderi di quello che doveva essere stato un fiorente porto commerciale, ponte dei traffici tra le coste africane e quelle mediorientali e perfino indiane. Fondato probabilmente dai coloni egiziani in epoca tolemaica, cadde nelle mani arabe durante il medioevo, perdendo definitivamente importanza con l’apertura del canale di Suez. Da qui passarono per secoli tutte le merci in partenza o in arrivo dall’Oriente, compresi milioni di schiavi, e da qui salparono le navi di pellegrini diretti alla Mecca. Oggi l’Isola di Suakin rimane abitata dalla fiera popolazione di pescatori Beja, storici “guardiani” del Mar Rosso. Tra gli edifici in rovina costruiti con materiale calcareo sedimentato, sono conservate le due moschee più antiche, risalenti probabilmente al XVII secolo e quelli che dovevano essere i ricchi palazzi decorati dei mercanti Ottomani.
Arte tradizionale
Quando si parla di arte sudanese, non si può prescindere dall’arte antica, dai manufatti risalenti alla primordiale epoca kushita, fino allo splendore dei tesori di epoca faraonica e meroitica. Reperti di terracotta istoriata, raffinata statuaria in granito, sculture antropomorfe, ricchi gioielli e paramenti in oro, affreschi di tutte le epoche, rinvenuti nei principali siti archeologici, riportano ad una storia millenaria e ad influssi culturali complessi e variegati.
Oggi numerose testimonianze artistiche sono conservate nel piccolo Museo di Kerma e nell’incredibile Museo Nazionale di Khartoum, anche se la maggior parte dei preziosi manufatti di epoca faraonica, venne trafugata durante le campagne archeologiche del XIX e XX secolo, dispersa in collezioni private o conservata oggi nei principali musei europei.
Una delle espressioni artistiche più antiche in Sudan è rappresentata dall’arte rupestre, rinvenuta nell’area di Sabu-Jaddi, un complesso di circa 1600 incisioni e pitture, alcune delle quali risalirebbero a 6000 anni fa. Assieme a numerosi reperti in pietra, riconducibili ai primi insediamenti organizzati del Paleolitico e del Neolitico, l’arte rupestre è la testimonianza di civilizzazioni che si insediarono tra la valle del Nilo e l’attuale deserto di Bayuda, in epoche in cui la regione era ancora ricoperta di terre fertili e ricche di fauna selvatica. Le raffigurazioni mostrano una grande varietà di animali selvatici, scene di caccia e, in epoche più recenti, di allevamento e coltivazione, oltre a numerose immagini di imbarcazioni a remi, antenate della odierna feluca, ancora in uso sul fiume Nilo, tra questi antichi popoli di navigatori.
Nelle sale dei musei di Kerma e Khartoum, sono conservati esempi straordinari di manufatti kushiti, risalenti al primo Regno di Kerma. Le terrecotte invetriate dalla caratteristica policromia in rosso e nero, sono l’espressione di una civiltà evoluta e dal raffinato savoir-faire, che nel 4000/3000 a.C. aveva raggiunto un elevato grado di organizzazione sociale, e un’autonomia ingegneristica e stilistica nella fabbricazione di oggetti o nella costruzione di edifici, che non aveva ancora subito gli influssi delle vicine popolazioni egizie.
Durante l’età dell’oro, nel vero senso della parola, l’arte nubiana raggiunge livelli di raffinatezza e ricchezza che supereranno in parte la civiltà faraonica dell’Antico Egitto. Popolo di antichi guerrieri e commercianti in oro, avorio ed ebano, i kushiti furono i principali rivali delle dinastie faraoniche, fino ad autoproclamarsi essi stessi faraoni durante la XXVª Dinastia, cosiddetta dei Faraoni Neri. Fortemente influenzata dalla cultura e dallo stile egiziano, la produzione artistica Napatese e Meroitica, produsse manufatti di straordinaria bellezza, legati alla pratica quotidiana, alla filosofia del culto dei morti e delle divinità superiori, alla spiritualità dell’Aldilà e all’esaltazione della grandezza reale.
Dai bassorilievi istoriati all’arte statuaria delle sfingi e arieti sacri al Dio Amon, dal vasellame ai gioielli in oro, dagli affreschi alle epigrafi, tutto diventa iconografia celebrativa, volta a raccontare e illustrare la grandezza di potenti regni, a dare forma a figure mitologiche e simboliche, a divinità antropomorfe e antichi riti sacri.
Diademi, spille, bracciali, collane, cavigliere, coppe sacrificali e perfino sarcofaghi, venivano interamente forgiati in oro, materia prima che fece la fortuna dei sovrani nubiani. A lapislazzulo e foglia d’oro erano probabilmente dipinte anche alcune parti degli affreschi celebrativi delle vite dei Faraoni, incentrati sulla loro natura semidivina.
Tra i capolavori indiscussi dell’arte napatese, sono le sculture a grandezza naturale che ritraggono le effigi granitiche dei faraoni della XXVª Dinastia, conservate oggi al Museo di Kerma. Una sola è rimasta in situ vicino alle cave di Tombus, perché probabilmente venne danneggiata durante il trasporto verso Napata.
Purtroppo le maldestre campagne archeologiche europee hanno contribuito ad una perdita considerevole di una parte del patrimonio artistico antico, tra cui la maggior parte delle pitture parietali delle necropoli piramidali, o i famosi tesori che fungevano da corredo per il defunto nel suo viaggio verso l’aldilà. Basti pensare che un italiano, Giuseppe Ferlini, nel 1834 trafugò il tesoro della Candace Amanishakheto e che per farlo utilizzò la dinamite che ne distrusse la sepoltura a Meroé.
Dopo la caduta di Meroé nel IV secolo d.C. e l’avvento dei Regni cristiani, la produzione artistica cambiò radicalmente nelle forme e nelle iconografie, attraversando quello che viene considerato il Medioevo sudanese. Nascono i monasteri e le chiese copte, con i loro dipinti e paramenti liturgici di chiara ispirazione bizantina. Se gran parte di questo patrimonio venne distrutto dalla successiva furia iconoclasta dell’Islam, ne rimane oggi testimonianza nei bellissimi affreschi distaccati dall’Abbazia di Faras, conservati al Museo Nazionale di Khartoum, e nelle pareti delle chiese cruciformi di Old Dongola, in parte sopravvissuti all’avvento dell’Islam.
L’iconoclastia musulmana non permise un’ulteriore evoluzione della produzione artistica e anche l’artigianato locale ebbe a soffrirne. Oggi parlare di artigianato sudanese, equivale a parlare di qualche manufatto di uso quotidiano in argilla e rafia (in particolare le caratteristiche ceste nubiane), una interessante produzione locale di arte tessile, accessori in cuoio, o il perpetuarsi nell’arte orafa di bijoux per l’estetica femminile.
Tra i savoir-faire più antichi nell’artigianato sudanese è quello della fabbricazione di imbarcazioni tradizionali chiamate feluche. Ancora oggi la tecnica di navigazione sul fiume Nilo è la stessa, tramandata da centinaia di anni, su piccole imbarcazioni di legno, dotate di una vela triangolare molto inclinata.
La pittura sopravvive in Nubia nell’antica usanza di dipingere e decorare con motivi geometrici e floreali le antiche porte della case tradizionali.
Solo a partire dagli anni ’80, qualche coraggioso artista contemporaneo ha iniziato la propria carriera in Sudan. Tra essi il più noto è Rachid Diab che ha aperto anche la propria galleria a Khartoum.
Cinema
L’industria cinematografica sudanese si riduce essenzialmente a un nome, ma si tratta di un nome molto importante, Gadalla Gubara, il pioniere di tutto il cinema africano.
Suo è il primo film a colori realizzato in Africa subsahariana nel 1950, Song of Khartoum. Successivamente la sua carriera abbraccerà tematiche documentariste con il film Independence del 1957, e la delicata questione dell’amore nella società araba tradizionale, con la pellicola Tajoog del 1984. Deceduto nel 2008, ne ha accolto l’eredità sua figlia, diventando a sua volta regista.
Al momento non spiccano altri nomi di realizzatori cinematografici sudanesi degni di nota e anche tra gli attori, l’unico che ha raggiunto l’olimpo hollywoodiano è Alexander Sidding (Star Trek), di cittadinanza inglese, nipote dell’ex Primo Ministro Sadiq al-Mahdi.
Letteratura
Tralasciando quali forme di letteratura la produzione di antiche epigrafi e iscrizioni in geroglifico o in alfabeto meroitico, o la produzione di testi miniati e manoscritti del medioevo cristiano e musulmano, la letteratura vera e propria comincia in Sudan ben più tardi.
Inizialmente legata all’arabo letterario e a qualche opera in lingua bedawi, era imprescindibile dalla cultura islamica, e si componeva principalmente di poesie e riflessioni sui versi del Corano.
Le leggende e i racconti della storia locale, erano invece affidati alla tradizione orale.
Solo in tempi moderni, durante la colonizzazione anglo-egiziana e nel periodo post-coloniale, si può effettivamente parlare di nascita di una letteratura sudanese e di una élite intellettuale.
Lo scrittore più importante fu Tayeb Saleh, il primo ad affrontare temi sociali e culturali nei suoi romanzi, quali Season of Migration to the North del 1964.
Nonostante la società patriarcale sudanese trovasse sconveniente che una donna scrivesse, non mancano nomi femminili negli anni ‘60/’80, tra cui Malkat ed-Dar Mohammed, vera pioniera che sfidò la sua epoca con temi piuttosto coraggiosi. Oggi la scrittrice Leila Abulela è tra le più riconosciute e premiate scrittrici sudanesi, mentre un cospicuo numero di autori, tra cui Salah Ahmed Ibrahim o Mohammed al-Fayturi, sono sempre più tradotti dall’arabo in altre lingue, o scrivono in inglese, affrontando il perenne dilemma nel mondo arabo-africano di un’identità multiculturale e di un mezzo espressivo adeguato.
Musica
La musica sudanese è un mix di sonorità arabo-africane, influenzate dalle melodie tradizionali religiose e da strumentazioni di origine araba ma anche subsahariana. In particolare la musica madee, che accompagna la recitazione dei salmi coranici con gli strumenti tradizionali arabi e nubiani, o la musica sufi a percussione e a fiato, che aiuta la pratica spirituale della meditazione, nella bellissima danza ipnotica, simile a quella dei dervisci.
Dopo l’indipendenza, la musica occidentale ha fatto timidamente il suo ingresso in Sudan e con l’allentarsi del rigore islamico, sono nati molti gruppi musicali tra le nuove generazioni, che traggono ispirazione dal jazz, dal pop e dal reggae, pur mantenendo un’impronta tipicamente sudanese. Largo seguito continuano ad avere le percussioni subsahariane e gli strumenti tradizionali a corda e a fiato di origine araba, sempre più arricchiti di una strumentazione elettrica della contemporaneità.
Tra i nomi più apprezzati nel panorama artistico sudanese sono Mohammed Wardi, Mohammed al-Amin o Abdel Karim el-Kabli.