SITI UNESCO
- Area conservazione di Ngorongoro (1979), eden naturalistico e faunistico e una delle principali attrattive del Continente.
- Rovine di Kilwa Kisiwani e rovine di Songo (1981), i resti di due grandi porti dell’Africa orientale entrambi situati su due isole vicine alla costa. Kilwa era una imponete città commerciale fondata tra il IX e l’XI secolo da mercanti Arabie che raggiunse il suo apice durante il periodo shirazi persiano, ossia intorno al XIII e XIV secolo. L’Isola di Songo Mnara fu altrettanto ricca e potente, come testimoniato dalle rovine delle elaborate residenze che qui vennero costruite nel tardo Medioevo. Nel 2004 il sito venne elencato tra quelli in pericolo di sopravvivenza: lo minacciavano il deterioramento costante di tutte le rovine archeologiche costruite usando la pietra corallina, che si stavano velocemente sfaldando e sprofondando, con crolli estesi sulle pendici delle colline e l’avvolgente sviluppo devastante della vegetazione tropicale.
- Parco Nazionale del Serengeti (1981), le cui vaste pianure comprendono 1,5 milioni di ettari di savana. La migrazione annuale di gnu, gazzelle e zebre costituisce uno degli eventi naturali più grandiosi del pianeta.
- Riserva faunistica di Selous (1982), caratterizzato da una grande quantità di elefanti, rinoceronti neri, ghepardi, giraffe, coccodrilli e ippopotami che vivono in un santuario naturalistico di 500mila chilometri quadrati.
- Parco Nazionale del Kilimangiaro (1987), la montagna più alta del Continente è attorniata da un parco in cui vivono numerosi mammiferi, molti dei quali in via di estinzione.
- Stone Town Zanzibar (2000), emblema delle città swahili in Africa orientale. Conserva il suo tessuto e il suo meraviglioso e variegato paesaggio urbano, simbolo del suo ruolo di crocevia tra Oriente e Occidente.
- Siti di arte rupestre Kondoa (2006), grotte collocate sulla parete orientale della scarpata Masai che costeggia la Great Rift Valley. Il sito è composto da grotte naturali e lastre sporgenti di roccia sedimentaria sui cui pannelli verticali si trovano le pitture rupestri, alcune delle quali databili a oltre 1500 anni fa secondo il Tanzania Antiquities Department. Sono visibili figure umane allungate, animali e scene di caccia.
Tanzania, culla dell’umanità
OLDUVAI E LAETOLI
Premessa l’importanza della Rift Valley dell’Est Africa nelle nostra storia evolutiva, come ha evidenziato anche Giorgio Manzi, paleoantropologo presso l’Università La Sapienza di Roma e Direttore della Missione paleoantropologia per il Ministero degli Affari Esteri in Tanzania, il sito di Olduvai costituisce una sorta di ombelico dell’evoluzione umana. Si tratta di una gola che si apre ai limiti sud-orientali delle immense pianure del Serengeti, per oltre 30mila chilometri quadrati, e si estende dalle pendici dei massicci vulcani del Ngorongoro fino all’estremo sud del Kenya. Proprio lì nel 1911, una caduta accidentale da parte dell’entomologo tedesco Wilhelm Kattwinkel, alla ricerca di una farfalla, determinò l’incipit di scoperte fondamentali che si sono susseguite nel corso dei decenni. Kattwinkel precipitò infatti su un deposito ricchissimo di fossili e fu proprio lui a chiamare quel luogo “Olduvai”, storpiando il termine Oldupai, che nella lingua masai indica una pianta dalle foglie lunghe, molto comune in quei luoghi aridi e rocciosi. Due anni più tardi, il giovane paleontologo e vulcanologo tedesco Hans Reck, già famoso per aver diretto gli scavi dei dinosauri di Tendaguru nella Tanzania meridionale, organizzò la prima spedizione scientifica a Olduvai. Ma furono i coniugi britannici Leakey a lavorare sul sito per decenni, sin dagli anni Trenta e a portare Olduvai a diventare l’epicentro della paleoantropologia mondiale. Di particolare rilievo è la scoperta del 1959 che, dopo anni di scavi ininterrotti e migliaia di fossili di animali rinvenuti, e gli straordinari manufatti di un primo Paleolitico, permise ai Leakey di scoprire i resti di un cranio attribuito a una forma di australopiteco, denominato successivamente Paranthropus boisei e databile intono a 2 milioni di anni fa. Il ritrovamento di questo reperto, il primo ominide bipede scoperto in Africa orientale, è solo l’inizio di altre scoperte, tra cui, quelle di Homo habilis. Il ritrovamento di quest’ultimo è avvenuto nello stesso luogo e allo stesso livello stratigrafico dell’australopiteco. Ciò vuol dire che si tratta di presenza contemporanee, bipedi derivanti da scimmie antropomorfe e con un precursore comune. Queste scoperte sono, dunque, particolarmente significative perché mettono l’accento su un fatto fondamentale, ossia che l’evoluzione umana non sia lineare ma a cespuglio ramificato. Specie diverse si intersecano, coesistono ed evolvono, grazie a cambiamenti climatici che permettono l’evoluzione e l’adattamento degli ominidi, proprio come è accaduto nella Gola di Olduvai. Sempre in Tanzania nel 1978 e nei pressi di Olduvai – a Laetoli, cioè, che si trova a una distanza di quaranta chilometri in linea d’aria – venne effettuata da Mary Leakey (nel frattempo il marito Louis Leakey era morto) una nuova grande scoperta: le impronte fossili di ominidi bipedi più antiche al mondo, attribuite ad Australopithecus afarensis, la stessa specie della famosa Lucy, vissuta circa 3.2 milioni di anni fa e scoperta in Etiopia nello stesso periodo (1974). Ma non è finita qui, le ricerche proseguono nel corso del tempo. E nel 2015, la scoperta di nuove impronte nel sito di Laetoli, effettuata da ricercatori italiani, suggerisce che A. afarensis avesse una struttura sociale poliginica, simile a quella dei gorilla. Le impronte ritrovate suggeriscono infatti che gli ominidi si muovessero in “branco” e che ci fosse un individuo nettamente più grande degli altri. Si trattava dunque probabilmente di un gruppo composto da un maschio e da alcune femmine con i loro piccoli”.
ARTE TRADIZIONALE
Tra gli oggetti artistici tradizionali che vengono prodotti all’interno dei villaggi sparsi qua e là nel paese e realizzati anche nelle città, spiccano per interesse artistico le sculture di Makonde e l’arte dei pittori Tingatinga.
- Le sculture dei Makonde che vivono sugli altopiani della Tanzania del sud ( e in Mozambico e da lì provengono coloro che vivono nelle regioni meridionale della Tanzania fino a Dar es Salaam) sono famose in tutto il mondo. I Makombe scolpiscono il legno da tre secoli e lo si sa con certezza perché alcuni mercanti arabi in quel periodo portarono nei loro paesi di origine alcuni manufatti. Molo probabilmente però questa è un’arte che affonda le sue radici in un periodo precedente. Si tratta di statue estremamente elaborate che vengono ricavate da un unico pezzo di legno. Il legno che tradizionalmente viene utilizzato per le sculture proviene dall’albero noto come “ebano del Mozambico” o Dalbergia Melanoxylon o, in kiswahili, mpingo; quest’ultimo è un legno particolare perché è caratterizzato da una corteccia chiara sotto la quale è presente un piccolo strato di legno morbido e un ulteriore strato sottostante che ha un colore che varia dal rosso intenso al nero, a seconda del terreno e dell’età dell’albero. Tra i grandi scultori Makonde ricordiamo Kashimiri Matayo, Yoseph Francis, Nafasi Mpagua, Hossein Hanangagola, Dastani Nyedi.
- L’arte Tingatinga è un genere pittorico nato in Tanzania negli anni Sessanta e caratterizzato da colori brillanti e soggetti naïf ispirati alla natura e alla vita africana. Il nome deriva dal fondatore della scuola, Edward Said Tingatinga, nato in Mozambico nel 1932 e giunto a Dar el Salaam poco più che ventenne in cerca di fortuna. Era di etnia Makonde in diaspora dalla sua terra di origine. Il suo percorso artistico cominciò da autodidatta dipingendo su legno e altri materiali di recupero. Iniziò a dipingere paesaggi surreali e animali della savana con economiche lacche per bicicletta. Insegnò poi gratuitamente a dipingere ad altri artisti e avviò una scuola di pittura che permise ad altri di emergere e affermarsi (oggi sono circa un centinaio). Attualmente l’arte Tingatinga è sinonimo dell’intersezione e coesistenza di più stili pittorici, insomma una sorta di incontro tra più Afriche.
ARCHITETTURA
- Le case di Kisutu a Dar es Salaam, il cui nome in arabo significa “Casa della Pace”. La città era originariamente un avamposto dell’Oceano Indiano in cui il primo sultano di Zanzibar, Seyyid Majid, trasferì la propria corte nel 1866. In seguito, i suoi successori riportarono la dimora a Zanzibar. Ma Dar es Salaam si era nel frattempo trasformata da villaggio di pescatori a cittadina. Nel 1921 diventerà poi capitale del Tanganica (come era chiamato il paese prima dell’unificazione con Zanzibar nel 1964) fino a quando, nel 1996, fu spostata a Dodoma. Oggi è una metropoli di circa 4.5 milioni di abitanti in cui sono evidenti le stratificazioni edizione che si sono sovrapposte e accumulate nel corso dei decenni. Questo processo edilizio è molto evidente nel quartiere portuale di Kisutu che è una testimonianza preziosa dell’intersezione tra architettura coloniale (tedesca e britannica) e arte decò in un periodo compreso tra il 1860 e il 1960. Con l’arrivo dei Tedeschi nel 1891 (con la Compagnia Tedesca dell’Africa Orientale, un’organizzazione fondata nel 1885 allo scopo di amministrare la colonia dell’Africa Orientale Tedesca) la città inizierà uno sviluppo predefinito da un preciso piano urbanistico con uno stile architettonico definito dall’utilizzo di porticati, verande e alti soffitti, espedienti tecnici, questi ultimi, per far fronte al clima caldo e umido. A partire dal 1916 i Britannici presero il controllo economico e politico della città che durò fino al 1961. I nuovi colonizzatori si dedicarono al mantenimento delle aree urbanizzate dividendo la città in tre sezioni separate: Usunguni, per gli europei; Uhindini, un po’ più a ovest e destinata ai nuovi immigrati provenienti dall’India e Uswahilini, dove oggi sorge il grande mercato di Kariakoo (a pochi metri da Kisutu) per le popolazioni indigene. Proprio durante la dominazione inglese sarà il gruppo sociale indiano ad espandersi, dando vita, al contempo, a una nuova stagione edilizia, caratterizzata dell’architettura tardo déco ancora visibile in Kisutu. Si tratta di edifici realizzati tra la fine degli anni ’30 e la fine dei ’60 del secolo scorso. Sulle loro facciate sono presenti iscrizioni che riportano sia la data di costruzione, sia il nome del palazzo, seguendo una moda tipicamente britannica. Queste case si sviluppano su un massimo di quattro livelli e sono spesso tinteggiate a colori a pastello. Queste abitazioni (e negozi e uffici) riprendono gli stilemi tipici del tardo déco, seppur con significative contaminazioni dell’architettura coloniale italiana, tipica del Corno d’Africa (Etiopia, Eritrea e Somalia).
- L’architettura di Stone Town, letteralmente “città di pietra”, anche nota come Mji Mkongwe (“città vecchia” in swahili), costituisce per il viaggiatore un elemento di grande fascino, tanto che, per il suo valore artistico, per la sua commistione di stili e la sua importanza storica, è stata dichiarata patrimonio UNESCO. Visitare Stone Town significa immergersi nella parte antica della capitale di Zanzibar. Situata sulla costa occidentale di Unguja, ossia l’isola principale dell’arcipelago di Zanzibar, Stone Town è stata la capitale del sultanato omonimo. Centro amministrativo durante l’occupazione britannica, è attualmente sede delle istituzioni di governo dello stato semi-autonomo di Zanzibar. Ritenuta una delle città più affascinanti dell’interno contiene africano, la sua architettura è l’emblema di un crocevia culturale che definisce più in generale la cultura swahili. Si tratta, infatti, di una cultura che riflette e incorpora la complessità della storia dell’Africa orientale che, attraverso’Oceano Indiano, fu in contatto fin dall’antichità con le civiltà del Medio Oriente e dell’Asia. L’origine dell’eterogeneità di Stone Town si può far risalire al periodo shirazi (tra il XIII E IL XV secolo), nonostante la città sia sorta in epoca più tarda. Caratterizzata da un labirinto di vicoli, colmi di case, negozi, moschee e bazar; è un luogo in cui perdersi osservando magnifici balconi a veranda, protetti da balaustre di legno finemente intagliato, e i portoni di legno con decorazioni a intaglio e bassorilievo. Numerosi sono gli edifici storici di rilievo:
- l‘alta corte di giustizia (High Court of Justice) in Kaunda Road, progettata dall’architetto britannico J.H Sinclair;
- i bagni persiani di Hamamni (Hamamni Persian Baths), un complesso di bagni pubblici, in attività fino al 1920 e costruito alla fine del XIX secolo per volere del sultano Barghash bin Said;
- la casa di David Livingston, medico, missionario ed esploratore scozzese è una elegante residenza dove Livingston soggiornò per pianificare il suo ultimo viaggio nell’entroterra della Tanzania, alla ricerca delle sorgenti del Nilo.
- la cattedrale anglicana chiesa di Cristo (Christ Church), in Mkunazini Road, edificata nel 1873, caratterizzata da un’insolita volta a botte. All’interno si trova una croce fatta con il legno dell’albero ai cui piedi venne sepolto il cuore di Livingston, a Chitambo. La chiesa sorge, tra l’altro, nella piazza in cui in passato si teneva il più grande mercato degli schiavi di Zanzibar. Accanto alla chiesa c’è il monumento agli schiavi, rappresentati incatenati in fondo a una fossa. Di fronte alla chiesa si trova un piccolo museo sulla tratta degli schiavi, a cui si accede con lo stesso biglietto di ingresso alla cattedrale;
- la cattedrale di San Giuseppe (St. Joseph’s Cathedral), chiesa cattolica edificata alla fine dell’Ottocento dai missionari francesi;
- il forte arabo (Ngome Kongwe in swahili) fortificazione in pietra costruita alla fine del XVII secolo dagli omaniti come struttura difensiva contro i portoghesi. Oggi nella struttura si trovano diversi negozi e un centro culturale in cui si tengono corsi di tintura con l’henné, tamburo e cucina tipica. Il piazzale antistante è spesso adibito a teatro all’aperto e la sera vi si svolgono spesso spettacoli di musica taarab e danze ngoma;
- il mercato di Darajani (Darajani bazaar) noto anche come mercato di Estella (in onore della contessa Estella, sorella del primo ministro Lloyd Mathews) o come Marikiti Kuu, situato in Darajani Road. Si tratta di un grande mercato chiuso con una notevole varietà di prodotti tipici,
- la moschea dell’Aga Khan che unisce elementi di architettura islamica e gotica;
- la moschea di Malindi, una delle più antiche moschee di Zanzibar, costruita da musulmani sunniti;
- il museo del memoriale della pace (Peace Memorial Museum), situato in Creek Road. Si tratta di un edificio storico anch’esso opera di J. H. Sinclair, come l’alta corte di giustizia. Al suo interno molti reperti della storia di Zanzibar;
- il museo del Palazzo (Palace Museum), situato sul lungomare di Mizingani Road. Si tratta di un grande edificio a tre piani, costruito alla fine del XIX secolo per ospitare la famiglia reale e circondato da mura merlattate;
- Il palazzo delle Meraviglie o casa delle Meraviglie (House of Wonders), in Mizingani Road, è uno degli edifici più imponenti di Stone Town, costruito alla fine dell’Ottocento. Deve il suo nome al fatto che fu il primo edificio di Zanzibar dotato di corrente elettrica e anche il primo edificio dotato di ascensore di tutta l’Africa orientale. Dal 2000 al suo interno è visitabile un museo di reperti della cultura swahili;
- Il tempio induista di shakti, dedicato a shiva;
- Il vecchio dispensario (Old Dispensary), attuale sede del centro culturale Aga Khan o centro culturale di Stone Town. Si tratta di un edificio costruito fra il 1887 e il 1894 per il volere di un ricco mercante; È uno degli edifici meglio decorati di Stone Town, con balconi intagliati, stucchi e mosaici alle finestre.
LETTERATURA
La letteratura tanzaniana è principalmente orale e comprende poesie, racconti popolari, proverbi, indovinelli e canzoni. La lingua della letteratura orale tanzaniana è lo swahili, anche se esistono all’interno del Paese numerosi dialetti, ognuno con la propria tradizione orale. La tradizione orale sta comunque tendendo a perdersi perché non adeguatamente preservata e valorizzata. La tradizione letteraria scritta è invece ancora relativamente poco sviluppata. La ragione risiede anche nella grande difficoltà di reperire libri, eccessivamente costosi e non facili da trovare. La maggior parte della letteratura tanzaniana è comunque in lingua swahili o in inglese. Le principali figure della letteratura scritta tanzaniana sono: Shaaban Robert, Muhammed Said Abdulla, Abdulrazak Gurnah e Penina Mlama. In particolare Abdulrazak Gurnah, scrittore e romanziere nato nel 1948 sull’isole di Zanzibar e naturalizzato britannico ha vinto l’ultimo premio Nobel per la Letteratura, il 7 ottobre 2021 con la seguente motivazione: “per la sua intransigente e compassionevole penetrazione degli effetti del colonialismo e del destino del rifugiato nel divario tra culture e continenti”. Gran parte dei romanzi di Gurnah sono ambientati in Africa orientale e tutti i protagonisti dei suoi romanzi, tranne uno, sono nati a Zanzibar. Temi ricorrenti nei suoi romanzi sono: la memoria, l’esperienza dell’emigrazione e quella di sradicamento provate da chi è costretto (dalle circostanze o volontariamente) all’esilio; il colonialismo; la ricerca di identità; la critica al dispotismo dei discorsi nazionalisti africani, spesso rappresentata dalle persecuzioni contro gli arabi durante il periodo della rivoluzione di Zanzibar.
MUSICA
Esistono in Tanzania tanti tipi di danze e strumenti musicali tradizionali. A cominciare da una chitarra che non è altro che un risonatore costituito da un guscio di noce di cocco. È questo uno strumento che si utilizza soprattutto lungo la costa. Il “marimba” è invece uno strumento musicale comune tra molte tribù, soprattutto intorno alla capitale, Dodoma. Si realizza grazie a la piccola scatola di legno ed è dotato di una serie di molle metalliche di diversa lunghezza, che vengono toccate dal pollice per produrre il suono. Il tamburo è un altro tra i più importanti strumenti musicali della Tanzania e dell’Africa in genere. Ce ne sono di vari tipi, forme e dimensioni. I tamburi vengono utilizzati anche durante le feste tradizionali, come eventi di iniziazione matrimoni, raccolta nei campi,… In queste occasioni vengono utilizzati strumenti musicali diversi tra cui la batteria, i marimba e anche i fischietti, ecc. Qualunque sia la danza, il messaggio che comunica può essere letto nei volti degli spettatori. Tra gli spettacoli musicali, noto è il Taarab, molto popolare a Zanzibar ed è una miscela di musica indiana, araba e africana. La mescolanza di tradizioni musicali diverse è tipica comunque della musica tanzaniana in genere. Già dagli anni Trenta spopolava la Rumba Cubana e nascevano i primi gruppi tanzaniani da questa influenzati come la Dar es Salaam Jazz Band e Morogoro Jazz. Tre decenni dopo fu poi la svolta dell’influenza della musica congolese. All’inizio del XXI secolo rap e reggae sono emersi come generi musicali, e anche mchiriku, un suono techno-stile, influenzato dai ritmi tradizionali, è diventato molto popolare popolare. Così come il genere Taarab, un mix di musica, africana, indiana e araba.
(testi a cura di Paola Scaccabarozzi)