Piccola isoletta a sud della Tanzania, separata dalla terraferma da appena 3 km, Kilwa Kisiwani conserva tra le più antiche testimonianze dell’importante storia che ha abbracciato le coste tanzaniane per più di un millennio. Le sue vestigia, dichiarate Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, assieme a quelle della vicina Isola di Songo Mnara, sono un vero e proprio tesoro architettonico e archeologico, un documento storico oggi in rovina, ma che tenta di rivivere grazie alla buona volontà degli abitanti, abili manutentori, e alle leggende del suo glorioso passato.
Fondata tra il IX e l’XI secolo da mercanti arabi, Kilwa Kisiwani raggiunse il suo apice durante il periodo shirazi persiano, intorno al XIII e XIV secolo, diventando uno dei più floridi scali commerciali tra l’Africa, il Medio Oriente e le Indie, soprattutto per il traffico dell’oro.
Con il controllo da parte dei portoghesi nel XVI secolo, che si impossessarono del forte Gereza, ancora oggi imponente edificio che dà il benvenuto sulla spiaggia, iniziò il suo lento declino, fino al passaggio nelle mani dei sultani omaniti che controllavano Zanzibar, ormai divenuta epicentro dei commerci, e infine passando sotto l’ingerenza militare francese, tedesca e inglese.
Oggi Kilwa si presenta come una tranquilla isoletta di cultura swahili, raggiungibile con una breve traversata in boutre e abitata da un migliaio di anime che vivono di pesca e di raccolta di pietra corallina a marea bassa.
Del suo antico splendore non rimangono che le vestigia, appartenenti a differenti epoche, testimonianze architettoniche di straordinario valore storico, tra le più antiche dell’Africa Orientale, che rimandano alla raffinatezza e all’opulenza con cui venne edificata la città, nonostante oggi versino in stato di ruderi e inghiottite in parte dalla vegetazione.
Le abitazioni di Kilwa sono tutt’oggi costruite interamente in mattoni di pietra corallina e calce ottenuta dalla fusione del corallo morto, stessa tecnica che venne utilizzata per i palazzi di rappresentanza e i monumenti del passato. E’ qui che apparve la più antica moschea dell’Africa dell’Est, nell’XI secolo e ampliata nel XIII, nella versione in cui può essere ammirata oggi, con le sue splendide coperture a botte. I mercanti, gli sceicchi e i sultani, forti delle ricchezze che accumularono con i commerci, edificarono palazzi sontuosi ed originali, con rifiniture preziose e porcellane proveniente dalla Cina, come lo splendido e imponente Palazzo di Husuni Kubwa del XIV secolo, che accoglie nella sua corte un’esuberante piscina ottagonale. Ancora in funzione è l’antico pozzo, dove gli abitanti di Kilwa si approvvigionano quotidianamente di acqua potabile, così come integro è il cimitero che accoglie decine di tombe di sceicchi e sultani.
A sud di Kilwa Kisiwani, l’Isola di Songo Mnara fu altrettanto ricca e potente, come testimoniato dalle rovine delle elaborate residenze che qui vennero costruite nel tardo Medioevo, oggi in preoccupante decadenza e dichiarate per questo patrimonio in pericolo dall’UNESCO, nel 2004.
Ma se Kilwa e Songo Mnara fecero fortuna soprattutto con il monopolio del commercio dell’oro, più a nord un traffico ben più triste, ma altrettanto redditizio, arricchì i mercanti arabi che controllavano lo scalo portuale di Bagamoyo, quello della tratta degli schiavi. Da qui passarono migliaia di prigionieri provenienti dall’entroterra africano tramite le carovane e destinati al mercato orientale della Penisola Arabica e della Persia. Le prime testimonianze della presenza araba risalgono al XIII secolo, mentre nel XVI secolo il monopolio passò nelle mani dei portoghesi, fino al XVIII secolo, quando i sultanati omaniti si impossessarono dell’avamposto, facendo prosperare velocemente il commercio di avorio, sale e schiavi. Alla tratta negriera è legato il nome stesso della città che in lingua swahili significa “deponi il tuo cuore”.
Oggi è difficile credere che questa tranquilla cittadina balneare, che fu per breve periodo capitale coloniale sotto il controllo tedesco, con le sue splendide spiagge e attrattive naturalistiche, con i suoi artigiani specializzati nella fabbricazione di dhow, abbia avuto un simile triste passato, se non fossero le sue numerose vestigia a ricordarcelo, documenti architettonici imprescindibili nella memoria storica di questi luoghi.