Foto © L.F. Paoluzzi
Lontana dalle piste più battute della Tanzania e poco visitata, a torto, dal turismo internazionale, è la sorprendente scarpata masai che si apre sul versante orientale della vallata del Rif, nella Regione di Dodoma. Un paesaggio di colline rocciose movimentate da grotte e anfratti, in luoghi isolati e nascosti, dove migliaia di anni fa si rifugiarono gli antenati delle attuali popolazioni Sandawe e Bantu, lasciando dietro di sé una moltitudine di testimonianze di arte rupestre, tra le più affascinanti e misteriose dell’Africa.
Una teoria di siti straordinari, nella zona di Kondoa Irangi, in prossimità dei villaggi di Fenga, Kolo, Pahi e Thawi, nascondono come in uno scrigno prezioso, un vasto campionario di pitture rupestri, disseminate in circa 160 rientranze e anfratti della falesia, anche se probabilmente ancora molte altre aspettano di essere scoperte.
Nominate nel 2006 Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, le ipotesi riguardo alla loro datazione che abbraccia epoche diverse, sono discordanti, proponendo generalmente un arco temporale di circa 2.000 anni, o, secondo alcuni studiosi fino a 6.000 anni per gli esempi più antichi.
Tra le iconografie più interessanti sono le meravigliose scene di caccia all’elefante di Fenga, o gli esempi antichi di figure umane stilizzate dal misterioso copricapo o maschera tribale, nel sito di Kolo, raggiungibile con un fuoristrada e un mini trekking nel tratto finale che si inerpica sulla collina. Ma il campionario più vasto e ricco è senza dubbio quello conservato tra le isolate rocce di Thawi.
Eccezionale repertorio artistico e archeologico, questo immenso campionario di pitture rupestri, è anche un prezioso patrimonio iconografico sull’evoluzione antropologica delle popolazioni locali, dapprima semplici cacciatori e raccoglitori, e successivamente organizzati in società più complesse e sedentarie, di tipo agro-pastorale. Alcune teorie ipotizzano che a realizzare gli esempi più antichi furono gli antenati, di ceppo San-Boscimano (popolazione australe a sua volta dalla lunga tradizione di arte rupestre), dei Sandawe, mentre probabilmente i più recenti sono imputabili a successive popolazioni di origine Bantu.
Alle immagini di animali selvatici, quali gazzelle, elefanti e giraffe, di animali domestici e di figure antropomorfe stilizzate, tracciate con l’ocra rossa, utilizzando un dito, si sovrappongono e stratificano le più recenti, fantasiose geometrie simboliche dicrome, in bianco e nero, dai significati misteriosi.
La straordinarietà di questi siti risiede anche nel fatto che siano tutt’oggi utilizzati dalle popolazioni attuali per celebrare riti propiziatori e divinazioni animiste, dando quindi continuità alla sacralità dei luoghi e alla cultura millenaria di questi popoli.
Splendidamente conservate e alcune di altissimo valore artistico nel loro realismo iconografico, le pitture sono in parte protette dagli anfratti rocciosi in cui si trovano, ma soprattutto dalla vegetazione boschiva che le circonda, impedendo al sole e all’erosione di deteriorarle.
Un luogo straordinario, un eccezionale museo naturale a cielo aperto, unico nel suo genere, ancora praticamente sconosciuto e misterioso, che merita senza dubbio di essere studiato a fondo e visitato almeno una volta nella vita.