Siti UNESCO
Koutammakou e il Pays Betammaribe dei Tamberma (2004)
Al confine con il Benin, arroccate sulla catena montuosa dell’Atakora, si trovano le abitazioni fortificate del popolo Tamberma, interamente costruite con paglia e fango e disseminate di feticci protettori animisti, concepite secondo antichi criteri ingegneristici, in una sintesi perfetta di architettura civile (praticità), militare (difesa) e religiosa (culto animista dei feticci).Chiamate tatchenta (o più semplicemente tata), sono plasmate con l’argilla per pose sovrapposte e al loro interno trovano riparo sia le famiglie che i loro armenti. Il secondo piano è costituito di un terrazzo su intercapedini di legno, sul quale sono distribuite piccole torrette circolari con cappello di paglia (stanze e granai). Numerosi “sistemi di sorveglianza” erano studiati per respingere eventuali attacchi del nemico. Ma sicuramente la maggior protezione del focolare di popoli rimasti profondamente animisti, è affidata agli innumerevoli feticci protettori, plasmati anche essi con l’argilla davanti all’uscio, e sui quali si fanno periodicamente, ancora oggi, i sacrifici propiziatori.
Architettura
L’architettura togolese varia a seconda delle molteplici tradizioni, delle zone e della destinazione d’uso.
Se nei principali centri abitati del sud, come Lomé, Aneho, Kpalimé, Atakpamé e Agbodrafo, persistono interessanti edifici di epoca coloniale, soprattutto negli esempi più antichi di cattedrali cristiane, tra cui la Cattedrale di Togoville del 1910, al fianco di abitazioni moderne o palazzi amministrativi contemporanei, nei villaggi rurali a predominare sono ancora le abitazioni costruite con l’argilla e i materiali naturali e che seguono le forme originarie.
Tra gli esempi più caratteristici di architettura tradizionale, sono da annoverare le abitazioni e i santuari dei Tem a Kparatao, dove si conserva la sala delle riunioni dei guerrieri più antica e grande del paese, a pianta circolare e interamente edificata in mattoni di argilla cruda.
Un unicum è riscontrabile nei piccoli granai di argilla circolari, incastonati nella spaccatura della falesia di Dapaong, molto simili alla tecnica costruttiva dei Dogon del Mali. E’ probabile infatti che furono popolazioni originarie della falesia di Bandiagara, a istallarsi nella zona, sfuggendo all’islamizzazione e importando i segreti costruttivi di questi granai inaccessibili, sospesi magicamente nel vuoto.
Le semplici abitazioni dalle belle porte dipinte, nel villaggio di Kouma Konda e sui monti Agou e Kloto, sono invece espressione dell’architettura tradizionale dei popoli Ewe. Abitazioni a pianta rettangolare in mattoni di argilla rossa, tipica delle zone più umide, vengono sopraelevati su uno zoccolo di pietra (per evitare le inondazioni e l’umidità) e infine intonacate con uno spesso strato di fango mischiato a sterco e paglia.
Le bellissime tata dei Tamberma, patrimonio Unesco, vengono considerate le “perle dell’Atakora”. Piccole castelli fortificati, erano studiati a scopo difensivo e interamente costruiti con un impasto di paglia, fango, sterco e scorze di karité. Disseminate di feticci protettori animisti, sono una sintesi perfetta di architettura civile (praticità), militare (difesa) e religiosa (culto dei feticci).
Nei villaggi del sud, l’architettura è caratterizzata dalla presenza costante di templi, conventi e altari sacri alla religione vudù e dedicati al culto delle divinità. Se a Togoville è presente il santuario più importante alla religione cattolica, è anche presente la teoria di luoghi di culto più venerati dagli adepti del vudù.
Una menzione merita la piccola casa degli schiavi nella foresta di Agbodrafo. Espressione tipica dell’architettura coloniale, con la scala esterna a doppia rampa di accesso, che porta al piano nobile, era utilizzata dai contrabbandieri di schiavi francesi che continuarono a fare affari illegalmente con le famiglie locali, anche successivamente all’abolizione ufficiale della tratta negriera. Il suo interno conserva ancora oggi il pavimento in legno originario, con la botola che portava al sottosuolo, qualche arredo e la cassaforte del XIX secolo. Questa piccola abitazione nascosta nella foresta (oggi ormai in pieno abitato), venne scoperta quale centro di contrabbando, grazie alle testimonianze delle famiglie afroamericane, discendenti dagli schiavi che ivi vennero tenuti prigionieri, e che ne diedero una descrizione dettagliata, tramandatasi di generazione in generazione.
Arte tradizionale
Il Togo ha una lunga tradizione di arte e artigianato locali, legati sia all’universo spirituale delle pratiche ancestrali, che all’utilitarismo degli oggetti di uso comune.
La varietà è dipendente dalla moltitudine di popoli, tradizioni e culture, e dalla disponibilità di materie prime reperibili sul suo territorio.
Dalle maschere rituali agli amuleti, dalle statue votive ai feticci, dai gioielli ai tessuti, dagli strumenti musicali alle armi di caccia degli antichi guerrieri, dalla pittura batik alla decorazione delle calebasse, dalle ceste ai mortai per macinare i cereali, si può affermare che ogni manufatto in Togo presuppone un savoir-faire artigianale che risale ad antichissime tradizioni.
Perfino l’architettura delle Tata (le abitazioni caratteristiche nei monti dell’Atakora) può essere considerata parte dell’arte scultorea, plasmata nel suo insieme proprio come se fosse una enorme scultura votiva.
In legno, argilla e metallo, le statuette sacre, i talismani, i totem, sono legati all’universo spirituale vudù e animista, ai riti propiziatorie, ai sacrifici protettori, e si basano su stereotipi tramandati di generazione in generazione.
Più che le maschere, in Togo sono diffusi costumi e ornamenti per le danze iniziatiche e le cerimonie religiose. Ogni evento ha il suo “dress code” e i suoi “strumenti accessori”, funzionali al rito, tra cui i più suggestivi sono quelli nella regione di Notsé, Atakpamé e quelli dei Tamberma, con i loro tipici copricapi con le corna di bue.
Gli Ewé di Kpalimé sono invece famosi per le bellissime collane colorate in pasta di vetro, tradizione millenaria ereditata dalla cultura akan del vicino Ghana.
Anche la lavorazione dei tessuti è un’arte tipicamente togolese. Se nel sud si trovano tra i più bei wax dell’Africa Occidentale (in realtà prodotti in Olanda), è al nord che le fabbriche artigianali, le più antiche del paese, confezionano i raffinatissimi tessuti in cotone rigato. Nella zona di Bafilo, Sokodé e in quella di Dapaong, centinaia di uomini lavorano da secoli al telaio (alle donne è riservata la filatura e il ricamo) le bande di cotone che verranno poi cucite a mano, a formare il tessuto finale, secondo l’antica tradizione dei popoli gourmanché.
La terracotta è particolarmente diffusa a Notsé e Tsevié, ma anche le donne Tamberma sono abili fabbricatrici di vasellame, che vendono ogni settimana al mercato di Nadoba.
La rigogliosa natura nei dintorni di Kpalimé, ricca di specie aroboree dalle molteplici proprietà, ha permesso la fioritura della tintura batik, la colorazione dei tessuti con pigmenti naturali estratti dalle piante endemiche che crescono sui Monti Agou e Kloto.
Cinema
All’esordio della colonizzazione tedesca e francese, i popoli togolesi non utilizzavano ancora nessuna forma di scrittura. Furono i tedeschi all’inizio del XIX secolo a creare un sistema di scolarizzazione e gettare le basi per quella che diventerà la prima generazione di intellettuali togolesi del ‘900. Se le prime sale cinematografiche vennero aperte già nel 1920 dai coloni, per vedere gli esordi di una produzione cinematografica togolese, bisognerà aspettare altri 50 anni.
E’ il 1975 quando Do Kokou Jacques realizza quello che viene considerato il primo film togolese, un cortometraggio-documentario sull’esodo rurale dal titolo Kouami. Tuttavia, ancora oggi, non è possibile parlare di una vera e propria industria cinematografica togolese e il governo non si è mai impegnato a finanziarne la nascita. Parlare oggi di cinema togolese, significa sostanzialmente parlare di un numero esiguo di coraggiosi registi, che sono riusciti con pochi mezzi a produrre alcune interessanti pellicole d’autore.
Kilizou Blaise Abalo, attivo a partire dagli anni ’70, è il primo regista ad essere premiato in una competizione internazionale (il FESPACO di Ouagadougou) nel 1995 con Kawilasi.
Steven Af (Folligan Amouzou), giovane regista che ha esordito soprattutto nel campo dei videoclip musicali, è oggi uno dei principali esponenti togolesi, impegnato nel tentativo di fondare un’industria cinematografica autoprodotta. Dal suo studio cinematografico arriva la serie televisiva di successo Fruits de la Passion.
Augustin Talakaena Batita, regista, scrittore, produttore, ha realizzato alcune pellicole d’autore dedicate a tematiche sociali, quali la condizione della donna nella società patriarcale e i matrimoni forzati.
Molti giovani registi di nuova generazione, lasciano presagire che a difetto di mezzi, i talenti comunque non mancano, e la voglia di fare cinema porta a soluzioni di auto-finanziamento o coproduzioni straniere.
Interessante il recente progetto di un gruppo di giovani che hanno creato Aruka, il primo studio togolese di film d’animazione. Nel 2020 la regista Ingrid Agbo ha presentato la sua serie animata L’Arbre à Palimpseste, cartone animato didattico e ironico sulla storia dei paesi africani, al Festival di Annecy, riscuotendo un notevole successo.
Letteratura
La letteratura (in francese) togolese ha cominciato a fiorire in tempi relativamente recenti, grazie a una nuova generazione di intellettuali che negli anni ’80 utilizzò il testo teatrale come forma di espressione di protesta contro il regime, trasportandola poi gradualmente in una forma di letteratura vera e propria. Tra i principali esponenti sono Sami Tchack (Hermina2003)e Kossi Efoui (La Polka 1997), provocatori, sarcastici e dissacratori della realtà politica togolese, al punto che hanno dovuto entrambi lasciare il paese negli anni ‘90.
Prima di allora gli scrittori togolesi del periodo post-indipendenza si sono cimentati soprattutto in un genere di novelle e racconti che affondano le radici nella tradizione delle leggende orali africane.
Christiane Tchotcho Akoua Ekué, nata nel 1954 e formatasi tra il Togo e la Germania, è ancora oggi una delle scrittrici più note a livello internazionale. Suoi sono i romanzi Le Crime de la rue
des notables del 1989 e Partir en France del 1996.
Richard Alemdjrodo, giurista di formazione, si avvicina all’universo della drammaturgia teatrale e alla letteratura, pubblicando testi per riviste letterarie e novelle che lo portano a numerosi riconoscimenti internazionali, quali il premio letterario RFI, nel 1990. Dovendosi scontrare con la censura del regime, pubblica nel 2003 la sua raccolta di novelle Journal d’une année pourrie sotto lo pseudonimo di Richard Alem. Suo è anche Le Parfum des grenades lacrymogènes.
Incentrate sugli avvenimenti politici contemporanei e sulla protesta contro la dinastia dittatoriale della famiglia Gnassingbé sono anche i romanzi di Yves-Emmanuel Dogbe,Affres del 1966 e L’Incarcéré del 1980.
Musica
In generale quando si parla d’arte, in tutta l’Africa non si può prescindere dalla musica.
Il Togo non fa eccezione e la musica tradizionale, legata alle cerimonie rituali è talmente sentita e viva, da ispirare anche la musica contemporanea delle nuove generazioni.
Ogni popolo ha le proprie sonorità ancestrali, ma possiamo affermare che le percussioni sono la base dell’intero universo musicale africano, e che il djembé è lo strumento più diffuso.
Tra la musica contemporanea, in Togo va molto di moda la salsa e gli stili afro-caraibici, per la loro ovvia discendenza dagli schiavi africani deportati nelle Americhe. Ma anche l’hip-hop, il reggae, l’R&B e la musica Tecno. Tutti questi generi musicali internazionali hanno trovato ampio respiro in Togo, ma sono stati fantasiosamente rivisitati e arricchiti da strumentazioni tradizionali, tipicamente africane.
I fratelli Assou & Sevi, pubblicano il loro primo album nel 1997, ispirato al folklore togolese, ma anche ad altri generi musicali dell’africanità, quali il zouk delle Antille. Nel 2002 raggiungono la notorietà internazionale con l’album Mamie Josée.
Vera e propria star contemporanea è Vicky Bila. La sua voce calda e profonda risuona ovunque in Togo, accompagnata da ritmi jazz e soul rivisitati nella tradizione strumentale africana.
Pioniere del rap in Togo è Eric MC, che comincia la carriera come dj nelle discoteche di Lagos in Nigeria. Nel 1990 torna in Togo e apre una vera e propria scuola di rap e hip-hop, il King Sound Studio.
Padre del rock togolese è invece Jimi Hope, premiato a New York nel 2008, mentre Fifi Rafiatou è forse l’artista che ha ricevuto il più alto numero di riconoscimenti internazionali, con la sua voce inconfondibile e uno stile caratterizzato da un dialogo continuo tra modernità e tradizione.