La cucina ugandese non è molto varia e, soprattutto, alcuni alimenti base non sono originari del Paese.
Nel corso dei secoli infatti l’igname, un tubero africano simile alla patata, è stato rimpiazzato da prodotti importati dai portoghesi come mais, manioca e patate dolci.
Il cibo locale è sostituito principalmente da un pastone di mais, chiamato “posho” condito con sughi di carne o verdure.
Un piatto insolito che può essere servito è il coccodrillo, allevato sempre in maggior quantità.
La cucina dell’Uganda ha subito anche l’influenza di quella indiana e anche di quella araba. Non è, per questo, inusuale trovare piatti asiatici o medio orientali.
Normalmente negli hotel si può scegliere tra pollo, pesce di lago e di fiume, stufato di montone, riso e diversi tipi di verdura.
Ottima la frutta, disponibile in abbondanza, dal mango all’anguria, dal frutto della passione all’ananas, dall’avocado alle arance.
Un capitolo a parte meritano le banane che vengono servite in vari modi: sotto forma di dessert, caramellate, scottate con il liquore. Ci sono diverse varietà di banane, a cominciare da quella verde (disponibile in 14 varietà) cotta al vapore, consumata sotto forma di purè (il “matoke”).
Ci sono poi le banane dolci servite come frutta o adoperate per fermentazione e distillazione. Anche il tronco del banano viene spesso utilizzato per svariati usi: il succo è una sorta di “integratore alimentare”, usato anche per curare i morsi di serpenti; la copertura del tronco è utile per creare corde e per realizzare canestri e altri recipienti.
Le foglie del banano vengono adoperate per avvolgere il cibo cotto a vapore, come cibo per gli animali d’allevamento, come parapioggia o per lucidare le scarpe.
Bevande
Le bevande più diffuse sono l’acqua, compresa quella in bottiglia che è reperibile praticamente ovunque e il the dolce mischiato con il latte (chai).
Buone le diverse qualità di birra prodotte nel Paese (“Bell” e “Nile”).
Il vino e i superalcolici sono di importazione e, in generale, molto costosi. Fa eccezione solo la grappa locale o “waragi”ricavata dallo zucchero di canna e venduta praticamente ovunque.
Testo a cura di Paola Scaccabarozzi